Ma gli influencer possono peggiorare la popolarità di un brand?

Spesso e volentieri ci troviamo di fronte ad accuse di pubblicità ingannevole, ma nel mondo dell'influencer marketing c'è anche un altro lato della medaglia

18/12/2023 di Enzo Boldi

Non è tutto oro quel che luccica, perché a un elevato numero di follower corrispondono anche evidenti responsabilità. Anche commerciali. Nell’epoca in cui tutto quanto è digitale, anche la comunicazione pubblicitaria si è spostata – con enormi investimenti – sulle piattaforme social. Quelli che un tempo erano i “volti delle tv” sono scelti, ora, dalle agenzie pubblicitarie, tra i volti dei social network. Ma gli influencer possono anche portare a effetti negativi per la popolarità di un brand in quanto – oggi più di ieri – c’è una vera e propria personificazione tra il personaggio noto e il marchio che sponsorizza attraverso post, video e stories.

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Il caso Balocco-Ferragni è collaterale a questa vicenda, trattandosi di una situazione in cui si è configurata – stando al provvedimento preso il 15 dicembre dall’AGCM (Autorità Garante delle Comunicazioni e del Mercato) – la violazione di tre articoli del Codice del Consumo, quelli relativi alle pratiche commerciali scorrette e ingannevoli. Ma è una delle tante facce di questo dato che ha visto – nella storia più o meno recente – influencer negativi che hanno portato a un’opinione impopolare anche rispetto a un brand.

Influencer negativi per la popolarità di un brand

Basti pensare, per esempio, alle varie campagne di boicottaggio che sono nate – sempre sui social – dopo che un personaggio influente (un vip nelle vesti social) ha rilasciato qualche dichiarazione “sconveniente” (per usare un eufemismo) su temi piuttosto delicati. È il caso di Kanye West che dopo alcuni commenti antisemiti ha fatto scoppiare il più classico dei polveroni. Il rapper americano, infatti, aveva all’attivo diverse sponsorizzazioni social. La più importante era quella con Adidas. Era, oggi non lo è più. Dopo le polemiche, infatti, l’azienda di prodotti di abbigliamento sportivo ha deciso di interrompere con lui ogni rapporto commerciale, per evitare che il suo nome fosse legato a quello di chi ha determinati pensieri sugli ebrei.

Ma non c’è solo questo. Rimanendo oltreoceano, infatti, è rimasto nella storia il caso Justin Bieber e il suo rapporto commerciale con H&M. L’azienda di abbigliamento, infatti, aveva stipulato con la popstar canadese un contratto che prevedeva la produzione di una linea a suo nome. Dopo aver approvato il progetto, lo stesso cantante aveva affossato pubblicamente quella collezione, spiegando ai suoi follower e al suo pubblico di non averla gradita. La fine della storia? H&M ha ritirato dal mercato tutti quei prodotti. Insomma, l’emblema degli influencer negativi.

Gli altri “disastri”

Non è sempre colpa, però, degli influencer. Basti pensare alla campagna pubblicitaria del 2017 di Pepsi che scelse come volto di un suo spot la modella americana Kendall Jenner.

Nello spot, Kendall Jenner abbandona un set fotografico nel corso delle proteste del movimento “Black lives Matter” e la pubblicità si conclude con la modella che consegna a un poliziotto una lattina del popolare soft drink in segno di “pace”. La trovata non fu apprezzata, con tanto di intervento della figlia di Martin Luther King che scrisse ironicamente su Twitter (ora X): «Se solo Papà avesse saputo che sarebbe bastata una lattina di Pepsi». Lo spot è stato immediatamente cancellato.

È andata diversamente nel caso – che rientra di diritto negli influencer negativi per il marketing – che ha visto protagonista Kim Kardashian. Il personaggio televisivo aveva stretto un accordo commerciale con l’azienda farmaceutica Duchesnay e, attraverso un selfie pubblicato su Instagram, aveva decantato i benefici di un farmaco anti-nausea mattutina. Purtroppo, però, non aveva parlato dei possibili effetti collaterali e questo portò a un’indagine da parte della FDA americana. Il tutto si concluse con l’obbligo di cancellazione di quel post e una pessima figura per il brand.

Il caso delle pubblicità ingannevoli (e occulte)

Popolarità che rischia di portare all’impopolarità. Non solo dei singoli personaggi, ma anche dei marchi con cui hanno stretto accordi commerciali. Di recente, il mese scorso, l’Antitrust ha aperto un’istruttoria nei confronti della content creator Asia Valente (e di Instagram). La giovane, che ha 2,1 milioni di follower, è accusata dall’AGCM di aver pubblicizzato ristoranti, spa, hotel e altre strutture turistiche con le quali avrebbe (questo è tutto da confermare e la diretta interessata ha smentito pubblicamente) stretto accordi pubblicitari. Si tratterebbe di pubblicità occulta sui social, senza dichiarare esplicitamente il contenuto pubblicitario con gli hashtag dedicati (#adv, per esempio). Su questa vicenda sono ancora in corso le indagini.

Ma nel computo degli influencer negativi, qualche anno fa se la sono vista brutta decine di personaggi famosi della tv e dei social, per una serie di post social indossando abiti prodotti da Alberta Ferretti per Alitalia. L’Antitrust citò moltissime personalità molto note: da Alessia Marcuzzi a Martina Colombari, passando per Federica Fontana, Chiara Blasi, Giulia De Lellis, Elena Santarelli, Cristina Chiabotto, Diego Passoni, Flora Pellino e tanti altri. Il motivo? Avevano postato fotografie indossando quegli abiti, non dichiarando l’accordo commerciale con l’azienda produttrice. Alla fine della vicenda non ci fu una sanzione, ma un impegno tra Aeffe e gli “influencer” di turno a specificare che si trattava di contenuti pubblicitari.

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