Su Hong Kong i sovranisti sono difensori della libertà a giorni alterni, ma non sanno quanto sia controproducente

Lo scorso 3 luglio, il leader della Lega Matteo Salvini protestava davanti all’ambasciata cinese a Roma con un cartello che leggeva “We stand with Hong Kong”. Salvini e gli altri leghisti che hanno partecipato al flash mob, duramente criticato da Pechino per l'”ipocrisia” del suo organizzatore, erano scesi in piazza per protestare la legge di Sicurezza nazionale.

Secondo il leader della Lega, il governo italiano non ha fatto abbastanza per proteggere i cittadini di Hong Kong e la loro libertà, una parola che è perennemente al centro delle dichiarazioni e critiche del leader sovranista. Il problema però, è che la protesta di Salvini e le dichiarazioni dell’estrema destra italiana e altri partiti sovranisti d’Europa, tra cui quelle di Nigel Farage in Regno Unito, sono spesso contraddittorie e non fanno altro che alimentare la crociata anti Pechino di Donald Trump. Soprattutto, rischiano di peggiorare la situazione per gli abitanti di Hong Kong.

https://twitter.com/matteosalvinimi/status/1278703674970255364

Se non altro, i sovranisti europei alleati di Trump, dovrebbero imparare dagli errori passati dell’occidente che, con azioni impulsive e unicamente basate su giochi di potere, ha troppo spesso peggiorato situazioni incredibilmente complicate, sempre a discapito delle popolazioni locali. I disastri in Medio Oriente e in Africa, inoltre, sono degli esempi lampanti di come gli interessi internazionali siano spesso anteposti a quelli locali.

Dalla Gran Bretagna, alla Polonia e all’Austria, diversi partiti nazionalisti e conservatori hanno speso parole per “proteggere” Hong Kong, ma davvero pensano di aiutare la popolazione?

LEGGI ANCHE >Vi spieghiamo una Cina, due sistemi e il concetto di “democrazia” a Hong Kong

Perché l’Hong Kong Autonomy Act di Trump è controproducente

Il problema principale della comitiva sovranista occidentale è che sono spiritualmente e praticamente guidati da Donald Trump, che da quattro anni a questa parte sta usando tutto il potere e l’influenza statunitensi per inasprire le relazioni con la Cina e l’Iran. Negli ultimi mesi, le relazioni tra Pechino e Washington hanno raggiunto livelli di tensione mai visti dal 1979, quando le prime relazioni diplomatiche erano state instaurate.

Hong Kong, ovviamente, è una pedina fondamentale nella lotta alla supremazia delle due superpotenze. Che, di fatto, sono entrambe spinte da interessi ultra nazionalistici.

Quando la legge di Sicurezza nazionale è entrata in vigore, Washington non ha perso tempo nel proclamare “la morte di Hong Kong”, sostendo che il provvedimento avrebbe significato la fine dell’autonomia della città dal governo comunista. In realtà, non è proprio così. Certo, la legge dà enormi poteri a Pechino, soprattutto per quanto riguarda la soppressione del dissenso politico, ma, di fatto, quasi niente è cambiato per la maggior parte della popolazione. Si tratta più di una perdita simbolica, che le potenze straniere dovrebbero tenere monitorata per tutelare gli interessi degli Hong Kongers a lungo termine.

Quando Trump ha ufficialmente terminato l’accordo commerciale speciale con Hong Kong, che dava alla regione dei trattamenti preferenziali rispetto alla Cina continentale, non ha fatto altro che accelerare l’ascesa di Pechino nel territorio.

l’Hong Kong Autonomy Act, infatti, che prevede sanzioni di natura prettamente economica, creerà, nel tempo, un vuoto commerciale che le compagnie cinesi, e non quelle occidentali e americane, finiranno per colmare, facilitando la sua integrazione economica nell’universo cinese. Tra l’altro, le sanzioni sono principalmente una strategia nel contesto delle presidenziali del prossimo autunno. Gli elettori di Trump non sono interessati a informazioni specifiche su quello che succede a Hong Kong, basta semplicemente la percezione che gli USA stiano prepotentemente oppenendo la Cina.

L’ironia sovranista nel difendere le “libertà demoratiche” di Hong Kong

l’ironia principale del provvedimento di Trump sta nel fatto che, indebolendo le relazioni commerciali e finanziarie con Hong Kong, l’economia del territorio, nota per la sua raffinatezza e adattabilità, si avvicinerà sempre di più alla Cina, rendendo quasi impercettibile la lenta infiltrazione di Pechino anche a livello culturale, tramite l’immigrazione di massa e l’acquisto di proprietà.

È anche parecchio ironico però, il fatto che i leader sovranisti occidentali si soffermino continuamente sulle libertà preziose di cui Hong Kong gode rispetto alla Cina, tra cui la libertà di stampa e di espressione. La maggior parte dei leader di questi partiti, tra cui Trump e Salvini, infatti, non perdono mai occasione per demonizzare la stampa (quando li sbugiarda) e chiunque li critichi. Quasi tutti i leader di estrema destra che supportano le proteste di Hong Kong, tra l’altro, tra cui gli ultra conservatori Ted Cruz e Tom Cotton, sono gli stessi che hanno duramente condannato il movimento #BlackLivesMatter e le tattiche dei manifestanti, spesso simili a quelle delle loro controparti nel territorio.

Quando la polizia di Hong Kong lanciava gas fumogeni per disperdere le folle e usava violenza contro i giovani nelle strade, diverse istituzioni internazionali avevano, giustamente, fortemente criticato il governo. I sovranisti, ovviamente, condividevano le immagini inorriditi per le violazioni delle libertà democratiche, che però, sembrano essere valide solo quando sono calpestate da “regimi islamici” o dal “fascimo della sinistra radicale”. Secondo questa retorica, in poche parole, i diritti dei Venezuelani oppressi dal regime comunista di Maduro valgono di più di quelli dei palestinesi torturati da Israele negli ultimi decenni.

Share this article
TAGS