Hate-watching e Hate-following: uno psicologo spiega perché ci piace odiare (sui social)

Si tratta di fenomeni tendenzialmente in crescita e che non rappresentano un pericolo, anzi, il meccanismo alla base di questi comportamenti è del tutto naturale.

18/08/2022 di Giordana Battisti

Sarà capitato a molti di guardare una serie tv come Emily in Paris, La casa di carta o You. Possibile che dopo un primo approccio generato dalla curiosità si continui poi a guardarle perché di intrattenimento o proprio perché il modo in cui la trama e i personaggi sono costruiti ci consente di criticarle o di fare ironia. Non è difficile infatti trovare in rete le critiche o le analisi di chi fa notare quanto molte di queste serie tv presentino dei buchi di trama o delle criticità che le rendono dei prodotti mediocri. Eppure, sono tra le serie tv più viste e diventate famose ovunque. Questo fenomeno per cui siamo portati a guardare qualcosa, in questo caso una serie tv, che non ci piace e che ci permette così facilmente di esprimere giudizi screditanti si chiama hate-watching e Oxford Languages lo definisce come “l’attività di guardare qualcosa per il piacere che deriva dal deridere o criticare”.

Emily in Paris ha conosciuto un grande successo fin da subito, scalando le classifiche degli show più visti ed è già stata rinnovata per le stagioni 3 e 4. Un record che va di pari passo con quello di serie tv più derisa sui social network attraverso meme e commenti riguardanti soprattutto la protagonista principale, che molti trovano insopportabile.

VICE ha intervistato uno psicologo, JR Ilagan, per capire le ragioni di questo “piacere che si prova nell’odiare qualcosa”. Ilagan spiega che il meccanismo si applica anche alle persone che si seguono sui social: nonostante non ci piaccia quello che fa o dice un influencer, un content creator o qualcun altro, non per questo smettiamo di guardare i suoi contenuti, né di criticarli. In questo caso, il fenomeno prende il nome di hate-following.

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Odiare fa bene? La spiegazione scientifica

Secondo Ilagan, l’odio è una risposta emozionale molto forte, in grado di stimolare il cervello nella produzione di serotonina, dopamina e ossitocina, noti anche come “ormoni della felicità”. Altri studi invece dimostrerebbero che le persone sono generalmente più felici quando provano delle emozioni, anche se queste non sono positive. Questa teoria sarebbe anche in linea con il fenomeno della toxic positivity: sforzarsi di essere sempre positivi, gentili, felici è sbagliato perché così facendo si sopprimono emozioni generalmente considerate negative, come la tristezza, che sono però del tutto normali e necessarie per garantire il proprio benessere.

Il limite che non dovrebbe essere superato e i casi di hate-following italiani

Secondo Ilagan bisogna distinguere tra due tipi di haters: «Quelli che si imbattono in contenuti che sono veramente criticabili e proiettano sul contenuto il proprio odio» – dunque provano quel tipo di odio che sarebbe addirittura un beneficio per la propria salute mentale – e «quelli che, indipendentemente dal contenuto, hanno bisogno di trovare qualcosa da odiare». Una sorta di capro espiatorio per le proprie frustrazioni. «Spesso le persone sono solo annoiate e vogliono provare qualcosa» spiega Ilagan.

Spesso in Italia ci troviamo di fronte a casi di haters che accomunano un personaggio (che nella vita reale è una persona) a un certo contenuto, spesso stereotipato, e quindi riversano il loro odio nei confronti di quella persona a prescindere da quello che la persona in questione possa dire. Non è raro sentire la frase: «Potrebbe dire qualcunque cosa, ma sarò sempre contrario alle sue opinioni». Il meccanismo sembrerebbe lo stesso descritto da Ilagan per quanto riguarda l’hate-following, cioè seguiamo volutamente sui social persone che non apprezziamo, ne ascoltiamo le opinioni a posta per criticarle e se queste non sono opinabili si passa magari a criticare la persona stessa. Casi noti sono sicuramente quello di Roberto Saviano, spesso criticato per aver messo in cattiva luce la città di Napoli, di cui è originario, attraverso i suoi romanzi. Una serie di stereotipi riguardanti lo scrittore sono ormai diventati virali proprio a causa dei suoi haters. Altri casi rilevanti sono per esempio alcuni politici, come Simone Pillon, Giorgia Meloni o Matteo Salvini, spesso protagonisti di meme sarcastici o al centro delle critiche di quanti non condividono alcune delle loro visioni riguardo, per esempio, la comunità LGBTQ+.

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