Siamo quel Paese in cui Patrick Zaki deve giustificarsi per un tweet-sfottò sul calcio

Lo studente dell'Università di Bologna, che sta affrontando un lungo iter giudiziario in Egitto, è stato bersaglio di hate speech

18/04/2022 di Gianmichele Laino

Tante volte abbiamo parlato di hate speech e delle sue forme più deleterie. Oggi ci troviamo di fronte a un fenomeno avvenuto per uno dei motivi più banali del mondo: una partita di calcio. I fatti sono questi: Patrick Zaki, lo studente dell’Università di Bologna che in Egitto sta affrontando un lungo iter giudiziario (dopo 22 mesi in un carcere, in una condizione di privazione dei diritti umani) è un grande tifoso della squadra della città che lo ha ospitato per diverso tempo. Dopo la partita Juventus-Bologna (terminata 1-1, con il pareggio agguantato dai bianconeri all’ultimo minuto, dopo due espulsioni tra le fila del Bologna), Patrick Zaki ha fatto un tweet-sfottò:

Hate speech contro Patrik Zaki, cosa è successo

Per questo tweet, Patrick Zaki è stato letteralmente sommerso dagli insulti. Insulti che, tra l’altro, non si limitavano a una sfera personale, ma che andavano a investire anche la sua vicenda storica e le implicazioni sul piano della politica internazionale. «Pensa al processo che ti stanno pagando i contribuenti italiani», «Purtroppo il nostro Paese ha speso anche per te. Il tuo è un esempio di cui non ne sentivamo bisogno», «Ti abbiamo fatto liberare per vederti scrivere ste pu**anate?» – sono solo alcuni dei commenti che lo studente ha ricevuto. Come se la fede calcistica e un commento un po’ più sopra le righe, a caldo, dopo una partita di calcio, bastassero per mettere in discussione la vicenda di una persona che, in carcere, ha sofferto a lungo e il cui percorso giudiziario non è affatto concluso. Valgono più le beghe calcistiche rispetto alla solidarietà per chi si è visto sottrarre – per 22 mesi – i più elementari diritti umani?

La risposta su Facebook di Patrick Zaki e la sua lezione di educazione digitale

Patrick Zaki, a questo punto, ha deciso di intervenire, dopo 24 ore in cui i commenti negativi e l’hate speech erano diventati davvero insostenibili: «Non mi dispiace – ha scritto Zaki – avere regolarmente discussioni accese con i tifosi di diverse squadre, amo il calcio e apprezzo questo tipo di divertimento. Tuttavia, quando ho scoperto che la gente sperava che io tornassi in prigione e fossi messo a tacere, mi ha davvero colpito come il discorso d’odio possa essere innescato così facilmente».

Poi ha proseguito: «In un mondo pieno di ogni sorta di censura da parte di vari attori, io scommetto sempre sulla gente per proteggere i diritti di libertà di parola degli altri anche se non sono d’accordo. Se non posso dire la mia opinione sul calcio senza essere attaccato, non sono sicuro di come dovrei recuperare la mia voce in questioni più importanti».

Per quanto riguarda l’educazione digitale e i comportamenti più elementari che bisogna utilizzare sui social network, il nostro Paese – mescolando due cose diversissime tra loro – ha dimostrato ancora una volta di essere decisamente indietro.

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