I disturbatori della DaD che si sentivano al sicuro perché «tanto la postale non ha tempo di contattare Telegram»

E invece sono stati individuati tre ragazzi residenti tra le province di Milano e Messina

23/03/2021 di Gianmichele Laino

Il sistema funzionava più o meno così. Si erano creati dei gruppi, in particolar modo su Telegram, in cui gli “studenti informati” potevano comunicare con quelli che, poi, avrebbero portato avanti il lavoro. Li hanno chiamati hacker della Dadanche se la definizione non è propriamente corretta: loro interrompevano le lezioni a distanza in corrispondenza delle interrogazioni e delle esigenze generiche degli studenti che li contattavano. Un vero e proprio sistema che è andato avanti sin dal primo lockdown. E che, adesso, la polizia postale di Genova ha messo a regime, completando l’operazione D(e)ad e individuando tre ragazzi (uno di questi era minorenne) tra le province di Milano e di Messina.

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Hacker della Dad, il sistema è stato scoperto

Nelle chat di Telegram (e alcune volte anche su Instagram) i ragazzi entravano in contatto per le operazioni da svolgere sull’intero territorio nazionale. Il sistema era semplice: serviva l’interruzione di una lezione? Ecco che i “responsabili” dell’operazione chiedevano allo studente che era entrato in contatto con loro il link della piattaforma e i codici d’accesso alle lezioni. Per fare un paragone facilmente comprensibile, è come se per un ingresso illecito in un edificio, invece di forzare la serratura, i malintenzionati fossero entrati con la chiave passata loro da qualcuno.

Una volta dentro la stanza didattica, era compito dei ragazzi coinvolti interrompere la lezione in diversi modi. Le forze dell’ordine hanno eseguito importanti sequestri di materiali informatici e ora le tre persone individuate dovranno rispondere dei reati di interruzione di pubblico servizio e accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico.

La cosa che maggiormente emerge da quanto segnalato dalle forze dell’ordine, tuttavia, è la percezione di sicurezza che i ragazzi avevano e che veniva fuori dalle loro conversazioni in chat. Su Telegram, infatti, scrivevano: «Rintracciare chi manda i codici è impossibile – si sente in una intercettazione resa disponibile dalla Polizia di Stato -, perché ce li hanno tutti: cioè dovresti metterti a guardare le chat di tutte le persone che hanno il codice. In realtà anche questo nostro gruppo che abbiamo è una conversazione privata. Quindi la polizia postale per chiedere queste conversazioni deve fare capo a Telegram, che non ha proprio sede in Italia, diciamo».

La sicurezza dei ragazzi sui rapporti tra Telegram e la polizia postale

Questi e altri messaggi venivano scritti all’interno di chat Telegram che – sin dal loro nome – facevano riferimento a veri e propri “raid” ed erano attivi sin da aprile 2020, un mese dopo l’inizio del primo lockdown nazionale e la conseguente chiusura delle scuole su tutto il territorio. In queste dichiarazioni si dimostra come questi ragazzi (ricordiamo che uno dei tre è un minore) abbiano una percezione molto distorta di quelli che dovrebbero essere i rapporti di forza tra un’autorità come la polizia postale e una multinazionale come Telegram. Come se la seconda fosse in qualche modo impenetrabile dalla prima.

Il fatto di aver diffuso queste conversazioni rappresenta, anche da parte della polizia postale, un tentativo di affermare il proprio ruolo. Un insegnamento pedagogico che, purtroppo, la percezione della realtà (basti pensare a tutti i casi di revenge porn, troppo spesso incontrollati, che si diffondono proprio grazie a Telegram) spesso stravolge.

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