Facebook accusato di razzismo per aver bannato foto in un gruppo di foto tradizionali della Papua Nuova Guinea

Immagini che contenevano scene di nudo sono state cancellate e alcuni utenti del gruppo sono stati inibiti dalla pubblicazione

28/05/2021 di Gianmichele Laino

La domanda che Arthur Smedley, amministratore del gruppo Facebook TAIM Bipo, Photo history, PNG, Papua & Nuova Guinea, si è fatto è semplice: «Perché se pubblico un’immagine a torso nudo di un uomo della Papua Nuova Guinea Facebook me la censura, mentre noi maschi australiani possiamo andare in spiaggia e scattare foto tranquillamente senza che ci succeda nulla?». Da qui l’accusa, formulata proprio dai gestori del gruppo Facebook che raccoglie fotografie storiche della Papua Nuova Guinea, di razzismo da parte di Facebook nella moderazione dei suoi contenuti.

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Gruppo Facebook Papua e l’accusa di razzismo alla piattaforma

È successo, praticamente, che alcune immagini caricate nel gruppo sono state rimosse da Facebook per presunte violazioni delle policy della piattaforma. Alcuni utenti del gruppo hanno addirittura subito delle limitazioni nella loro capacità di pubblicare su Facebook. «Si potrebbe considerare razzista che un’azienda americana discrimini questo gruppo di persone – ha detto l’admin del gruppo Arthur Smedley -, dicendo che queste foto sono bandite dal nostro gruppo. L’atteggiamento è semplicemente incredibile». La denuncia è stata raccolta dal Guardian, che ha immediatamente contattato Facebook per comprendere l’accaduto.

La risposta della piattaforma è stata molto semplice: tutte le azioni di moderazione realizzate per il gruppo sulla Papua Nuova Guinea sono state un errore e, per questo motivo, le immagini prima cancellate sono state ripristinate. Una spiegazione che Facebook è solito dare quando ci sono casi controversi che, magari, emergono pubblicamente dopo la denuncia dei diretti interessati.

Il gruppo Facebook in questione ha oltre 53mila iscritti. Rappresenta un bacino fondamentale per la raccolta di fotografie legate al territorio della Papua Nuova Guinea. Incredibile davvero che Facebook possa limitarlo in qualche modo, esclusivamente perché gli abiti tipici e storici della popolazione lasciano lembi di corpo scoperti. Anche perché – secondo la testimonianza di un docente universitario che ha sperimentato sulla propria pelle la sospensione di suoi post in seguito alle pubblicazioni nel gruppo – molto del materiale postato si potrebbe trovare negli archivi nazionali australiani, o al British Museum o all’Università della California. Ha senso censurare la storia?

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