Giulia Pastorella: «Timori infondati dietro al mancato aumento delle soglie per l’emissione del 5G»
La vicepresidente di Azione ha tracciato un quadro di quello che sta succedendo nelle nostre istituzioni, negli ultimi giorni, a proposito della grande questione dell'infrastruttura 5G
04/04/2023 di Gianmichele Laino
Si è tornato a parlare di 5G nei corridoi istituzionali italiani. Era attesa, infatti, all’interno del testo del ddl Concorrenza una modifica sostanziale allo spettro delle frequenze elettromagnetiche collegato alle antenne del 5G. Questa modifica, a quanto pare, ha sollevato diversi dubbi tra i partiti di maggioranza, con la Lega che avrebbe opposto un veto a questo innalzamento delle soglie. O – almeno – una particolare anima della Lega, visto che, a quanto pare, esistono sensibilità diverse all’interno del partito di Matteo Salvini sul tema. Chi, però, sta seguendo la vicenda sostiene che il mancato innalzamento dello spettro delle frequenze sia un voler strizzare l’occhio a quel 14% di cittadini italiani che, basandosi su teorie che non hanno riscontro scientifico, ritiene non necessaria la tecnologia del 5G. Abbiamo approfondito l’argomento con la deputata di Azione (nonché vicepresidente del partito) Giulia Pastorella, che sta cercando di condurre un’azione di sensibilizzazione sul tema.
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Giulia Pastorella e il dibattito sullo stato del 5G in Italia
Al momento, tra dati sulla distribuzione territoriale della rete 5G che vengono adattati a uso e consumo delle varie narrazioni e il problema del mancato innalzamento delle frequenze, la tecnologia rischia di restare indietro. Per questo, siamo partiti da una questione abbastanza intuitiva, chiedendole se a lei, come utente, il 5G funziona bene. «La maggior parte del tempo sono su 4G – ci risponde non senza una sfumatura divertita -. Forse, a pensarci bene, è anche questo uno degli elementi del problema: è raro finire su una rete 5G in diversi luoghi d’Italia. Ma sarebbe riduttivo pensare che il 5G sia una questione semplicemente legata alla telefonia. Il 5G ha delle applicazioni molto più ampie: penso alla telemedicina, all’IoT industriale, ad esempio».
Proprio in questa ottica, il PNRR cercava di agire soprattutto sulla copertura della rete in Italia: l’obiettivo era quello di non far perdere occasioni al tessuto industriale del nostro Paese, soprattutto rispetto a quello degli altri stati membri dell’Unione Europea. «Il PNRR – ci spiega Pastorella – cercava di colmare il gap legato alla copertura territoriale entro il 2026. Non si occupava dello spettro elettromagnetico. Tuttavia, il tipo di copertura, le prestazioni di questa copertura e i costi sono strettamente legati alla questione del limite delle emissioni. Il PNRR prevedeva una certa copertura stante il livello corrente di emissioni, ma c’era un’apertura nel ddl Concorrenza, almeno secondo alcune bozze circolate, che sembrava suggerire un innalzamento delle soglie. Questo avrebbe significato avere meno antenne, prestazioni migliori, costi inferiori e un beneficio economico di 4,3 miliardi di euro nei prossimi 12-18 mesi. Al momento, questa previsione è scomparsa dal ddl Concorrenza e, dunque, l’infrastruttura del nostro Paese continuerà ad affrontare questo problema».
Al momento, il nostro Paese prevede un limite di 6 v/m a fronte della media di 61 v/m in vigore nell’Unione Europea. Si tratta di una questione che deve scontare diverse problematiche: dalla differenza nella misurazione delle emissioni rispetto agli standard degli altri Paesi europei, fino ad arrivare a una rincorsa all’accaparramento delle frequenze da parte degli operatori (che incide molto sulla misurazione delle emissioni stesse).
«Quello delle soglie già alte in Italia è un mito – continua Pastorella -. In ogni caso, gli aspetti concorrenziali devono essere separati da quelli tecnologici. Ciò a cui si deve guardare è invece quale sarà la domanda rispetto alle nuove tecnologie 5G. Da quanto ci dicono i dati, la domanda è assolutamente in grado di corrispondere all’offerta che si potrebbe avere se si alzassero queste soglie di emissione. Aggiungerei, tra l’altro, che separerei la questione concorrenziale da quella della salute. Non ci giriamo intorno: se le soglie non vengono innalzate non è per una questione di concorrenza o di tecnologia. È proprio per una questione di timori infondati, secondo tutti gli studi scientifici che abbiamo a disposizione, rispetto a presunti problemi di salute causati dal 5G. Non sono certo gli operatori a frenare da questo punto di vista, perché avrebbero solo da guadagnarci».
L’opinione pubblica e il 5G in Italia
Secondo l’esponente di Azione, su questa tematica, così come in altre circostanze d’attualità, il problema sta nei messaggi che la politica lascia passare di fronte all’opinione pubblica: «In tutti i dibattiti recenti si è visto un approccio troppo precauzionale rispetto ad altri Paesi europei. Tuttavia, gli standard sulla salute sono abbastanza condivisi a livello comunitario: e se siamo gli unici in Europa ad adottare standard più severi, allora un paio di domande me le farei. Cito sempre i Malavoglia di Verga e il passaggio in cui Padron Cipolla attribuiva l’assenza delle piogge a quei maledetti fili del telegrafo. Secondo le ultime stime, tra l’altro, nel Paese gli antagonisti della tecnologia sono molto pochi, meno del 15%».
Una percentuale che, tuttavia, sembra essere alimentata anche dal fatto che – attualmente – i dati che vengono di volta in volta snocciolati sulla copertura del 5G nel nostro Paese sono piegati alla necessità. Se si dice che il 95-96% del territorio è coperto dal 5G, facendo tuttavia riferimento alle frequenze 4G adattabili al 5G e non al 5G puro (quello non stand alone, per intenderci), si offre una panoramica distorta sulla questione. Al momento, il 5G “vero”, in Italia, è fermo al 7% di copertura territoriale, molto al di sotto della media europea che si attesta intorno al 62-63%.
«La domanda è se quel 14-15% di persone contrarie al 5G può essere convinto soltanto da una interpretazione corretta di questi dati – conclude Pastorella -. Io mi aspetto che quella percentuale mi risponda che il 4G basta e avanza per loro e per i loro dispositivi mobili. Il problema è far capire che il 5G ha altre applicazioni e far capire che, se alziamo le soglie, saranno sufficienti meno antenne per avere una rete competitiva. L’infrastruttura è la spina dorsale di qualsiasi applicativo, se non si parte da lì e restiamo su performance minori, tutto ciò che verrà sviluppato sulla base di quell’infrastruttura diventa limitato. Poi non dobbiamo stupirci se i campioni tecnologici vanno all’estero o se le sperimentazioni più avanzate condotte dai nostri imprenditori vengono fatte all’estero».
FOTO – Daniele Mascolo