Hanno “inventato” il clone italiano di ChatGPT: PizzaGPT

L'idea è venuta a un italiano che vive all'estero: si tratta di un wrapper dell'API di OpenAi, inserito in un'interfaccia per la chat

03/04/2023 di Enzo Boldi

C’è chi ha esultato e chi ha contestato la decisione del Garante per la Privacy italiano. E poi c’è chi ha deciso di offrire al pubblico del Bel Paese un clone di ChatGPT perfettamente funzionante (anche se ancora un po’ lento e con un’interfaccia migliorabile). Si chiama PizzaGPT e si tratta di una piattaforma basata sull’API di OpenAI, quindi sovrapponibile alle caratteristiche (per quel che riguarda il livello “conversazionale”) della chatbot bloccata (almeno per il momento) nel nostro Paese.

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A realizzare la piattaforma, che ha un “focus” specifico su uno dei piatti che identifica l’Italia nel mondo, è stato un giovane italiano che vive all’estero. Dopo aver saputo della decisione del Garante per la Privacy e della successiva mossa di OpenAI di bloccare l’accesso alla chatbot nel nostro Paese, ha messo online – in pochissimo tempo, con delle pecche che lui stesso ha confessato – questo PizzaGPT. E lui stesso, in un blog, ha raccontato questa storia:

«Ho avuto l’idea ieri, leggendo de blocco di ChatGPT in Italia. Sono un italiano che vive all’estero, quindi ho ancora accesso a ChatGPT, ma i miei genitori e amici che vivono in Italia non lo hanno più. Credo che l’Intelligenza Artificiale sia uno strumento rivoluzionario che dovrebbe essere accessibile a tutti, allo stesso modo di come lo è stata l’Internet.
Il sito web è stato codificato ieri in un paio di ore, quindi è pieno di bug e potenziali miglioramenti. Ma volevo solo pubblicare qualcosa velocemente. Per la stack ho usato Nuxt 3, Tailwind e DaisyUI.
Per quanto riguarda l’AI, è letteralmente solo un involucro dell’API di completamento di OpenAI (modello turbo-3.5) e un’interfaccia di chat, quindi dovrebbe dare le stesse risposte della versione gratuita di ChatGPT.
Sono ancora un po’ preoccupato per i costi se molte persone iniziano a usarlo, quindi ho aggiunto un pulsante di donazione. Potete donare l’equivalente di una pizza (modello pizzaware?) per aiutare a mantenerlo in funzione».

Una ChatGPT che, in realtà, non è una ChatGPT. Anzi, al momento il sistema è piuttosto “rudimentale” ed esiste una campagna di donazioni (da 9 euro) affinché si possa proseguire con lo sviluppo. Manca, per esempio, la possibilità di scegliere la “temperatura” delle risposte.

PizzaGPT, la risposta italiana al blocco di ChatGPT

Abbiamo provato a chiedere proprio a questa piattaforma la sua genesi e le informazioni da cui attinge per il suo dataset che si basa proprio sulla Pizza. Questo il risultato:

«PizzaGPT è stato creato utilizzando la tecnologia di elaborazione del linguaggio naturale, in particolare il modello di linguaggio GPT-3 sviluppato da OpenAI. Il modello è stato addestrato con un grande set di dati contenenti informazioni sulle ricette di pizza, gli ingredienti, le tecniche di cottura e altro ancora. In seguito, un team di programmatori ha creato un’interfaccia web che consente agli utenti di interagire con il modello per chiedere consigli sulla preparazione della pizza, suggerimenti su ingredienti e molto altro ancora. Il risultato è un assistente virtuale di facile utilizzo e altamente personalizzabile per i fan della pizza in tutto il mondo».

Questa è solo una spiegazione parziale che, ovviamente, non dà l’esatta portata delle funzionalità. Perché, e non è un caso, nella homepage campeggia questo messaggio:

«OpenAI ha chiuso l’accesso a ChatGPT dall’Italia in seguito alle contestazioni del garante della privacy. PizzaGPT utilizza le stesse API di ChatGPT ma non registra nessun tipo di dato da parte degli utenti».

Dunque, nessuna registrazione dei dati utenti (quindi nessuna possibile contestazione a livello di trattamento dei dati). E questo aspetto diventa palese (e paradossale, rispetto al “fratello maggiore di OpenAI) nel test del nome che abbiamo fatto.

Dunque, dopo aver fornito il nostro nome fittizio, PizzaGPT ci risponde facendo riferimento a quel nome. Ma nella domanda successiva gli chiediamo “Come mi chiamo”, la chatbot non sa rispondere a questa domanda. Dunque, non assimila informazioni e non si può allenare. Il motivo è piuttosto semplice: per evitare di incappare nelle stesse contestazioni mosse contro ChatGPT, lo sviluppatore italiano utilizza le Chat Completion API di OpenAI e non il “sistema” completo di chat.

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