E se i social a pagamento fossero la risposta all’indagine per presunta evasione fiscale?

Oltre al rispetto e all'adeguamento alle normative europee, sulla testa di Meta pende anche l'accusa mossa dalla Procura di Milano a febbraio

05/09/2023 di Enzo Boldi

Partiamo da un presupposto: i dati di navigazione (oltre a quelli sensibili) di ogni singolo utente hanno un valore economico e commerciale piuttosto consistente. Difficile, al momento, individuare un corrispettivo in termini di cifre, ma sappiamo che ogniqualvolta diamo il consenso al trattamento dei nostri dati online, le aziende che curano e sviluppano le piattaforme traggono un beneficio economico di secondo livello. C’è chi li utilizza per fare profilazione pubblicitaria (quindi producendo introiti) e chi li vende a terze parti. Dunque, parliamo di fattori molto importanti. Anzi, fondamentali per la sussistenza delle aziende che vivono grazie all’ecosistema web. Questa piccolo premessa è necessaria per provare a spiegare il possibile nesso tra la (possibile) mossa di fornire agli utenti anche una versione a pagamento di Facebook e Instagram e l’indagine della Procura di Milano sulla presunta evasione fiscale di Meta.

LEGGI ANCHE > Facebook e Instagram potrebbero diventare (anche) a pagamento in Europa?

In un nostro approfondimento precedente, abbiamo parlato di GDPR, DSA e DMA: tre leggi/regolamenti europei che potrebbero aver portato la holding di Mark Zuckerberg a pensare a una soluzione a pagamento (a scelta) per rispettare alcuni dei paletti imposti. Il fatto che se ne stia parlando solamente per l’Europa sembra essere la conferma. Sullo sfondo, però, c’è anche quell’inchiesta della Procura di Milano, aperta su impulso dell’EPPO (la Procura Europea) in cui si accusa di evasione fiscale Meta.

Evasione fiscale Meta, l’indagine causa dei social a pagamento?

Facciamo un piccolo passo indietro: era la fine di febbraio, quando venne diffusa la notizia di quest’apertura di indagine nei confronti dell’azienda di Zuckerberg, accusa di non aver versato – tra il 2015 e il 2021 – l’Imposta sul Valore Aggiunto (IVA). Si parla di un valore pari a 870 milioni di euro. Numero figlio del valore dato alla moltitudine di dati degli iscritti alle piattaforme social e utilizzati per la profilazione pubblicitaria. In pratica: l’utente utilizza gratuitamente le piattaforme e, in cambio, concede alle piattaforme il trattamento dei propri dati. Anche a scopi commerciali e pubblicitari.

Dunque, secondo la Procura Europea e quella di Milano – che ha preso in mano l’indagine -, i dati hanno un valore commerciale (che, di conseguenza, è soggetto a tasse – IVA al 22%) che deve essere corrisposto al Fisco. Perché, secondo chi indaga, la registrazione gratuita alle piattaforme Meta dovrebbe essere qualificata come una prestazione di servizi, in quanto consente agli utenti di utilizzare i beni immateriali dell’azienda. Seguendo questa linea di pensiero, la “cessione” dei dati personali degli utenti da parte di Meta agli inserzionisti pubblicitari dovrebbe necessariamente essere considerata come il corrispettivo della prestazione di servizi di registrazione e utilizzo delle piattaforme. Di conseguenza, l’imposta sul valore aggiunto (IVA) sarebbe dovuta sul corrispettivo della prestazione, quindi sui dati personali degli utenti.

A che punto siamo

Ed eccoci a oggi. Dalla Procura di Milano – così come da quella Europea che ha dato l’impulso – si è sempre mantenuta la linea del riserbo, senza far trapelare più informazioni rispetto a quelle emerse nel mese di febbraio. Certamente, però, la possibilità che Meta rilasci l’opportunità di decidere se interagire con Facebook e Instagram a pagamento (senza pubblicità) non può che riaprire un faro sulla situazione. Abbonandosi, non ci saranno pubblicità. Abbonandosi, di conseguenza, non ci sarà profilazione dei dati a scopi pubblicitari. È evidente, dunque, che il mancato introito pubblicitario corrisponda a una impossibilità nella profilazione degli utenti. Mentre nelle versioni gratuite tutto rimarrà come prima (ovviamente con “consenso”).

Share this article
TAGS