Il movimento dell’equo compenso: dalla musica al cinema, passando per l’editoria. Un risveglio tardivo?

Le grandi piattaforme utilizzano questo principio regolatore da tempo, in qualsiasi settore: poca trasparenza sugli algoritmi e massimizzazione dei profitti

27/03/2023 di Gianmichele Laino

La direttiva europea sul copyright è stato il risultato di un lungo confronto, tra le istituzioni europee, precedente al 2019. Il suo recepimento nei vari stati membri dell’UE ha sicuramente avuto effetti a cascata rispetto al ruolo delle grandi piattaforme – i cosiddetti OTT, ma anche i colossi dei social network e dell’ecommerce – su particolari settori: la musica, il cinema, il teatro, l’editoria, la produzione di news giornalistiche. I principi, per ognuno di questi ambiti, sono gli stessi: chiarezza sugli algoritmi, definizione precisa dei numeri relativi ai contenuti protetti dal diritto d’autore, tutele per garantire ai produttori di questi contenuti un equo compenso. Concetto che però, a più riprese e in più ambiti, è stato decisamente contestato dai principali attori. Soprattutto in Italia, dove – come abbiamo avuto modo di approfondire grazie anche a un’intervista alla commissaria Agcom Elisa Giomi l’autorità garante delle comunicazioni dovrebbe avere un ruolo fondamentale nella mediazione tra le grandi piattaforme (che però si comportano ancora e sempre più spesso come delle vere e proprie schiacciasassi) e i produttori di contenuti.

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Equo compenso tra musica, cinema ed editoria: stessi principi, stessi problemi

Le due questioni che, dal punto di vista della cronaca, stanno tenendo banco nell’ultimo mese – ovvero il mancato accordo tra SIAE e Meta per la gestione del diritto d’autore degli artisti SIAE e la causa presso il tribunale civile di Roma a Netflix per i problemi legati all’equo compenso per gli attori – dimostrano come, nonostante la presenza di una direttiva europea e nonostante le leggi nazionali che cercando di darle un’attuazione, ci si sia accorti all’improvviso di quanto possa essere complesso gestire i rapporti con le multinazionali del digitale. Che, proprio sul diritto d’autore, hanno da sempre giocato sul filo del rasoio, basando su questa tipologia di contenuto (quello esclusivo e protetto dal copyright) buona parte del loro impero economico.

Le azioni che si stanno verificando (una causa legale nel caso degli attori, promossa dalla società Artisti 7607, e il braccio di ferro tra SIAE e Meta su gran parte della musica italiana) non sembrano essere gli strumenti più efficaci (quantomeno per le lungaggini burocratiche che presuppongono) per condurre una lotta senza quartiere alle grandi aziende del digitale. Aspettare l’eventuale istruttoria di un processo o cercare di far valere i propri diritti in una lunga trattativa con un colosso americano: sono due azioni all’interno delle quali le grandi industrie digitali si muovono con agio. Cosa c’è di meglio di un processo lungo (come può essere quello richiesto dalla giustizia italiana) per far valere il principio di rapidità del progresso tecnologico che, molto spesso, riesce a superare ostacoli frapposti da un sistema normativo?

La verità è che manca spesso, a livello di educazione digitale, una lungimiranza tale da anticipare i problemi. Che diventano tali, poi, soltanto quando ormai sembrano irreversibili. Come abbiamo avuto già modo di evidenziare, è molto probabile che una nuova battaglia sul copyright venga affrontata nel settore dell’editoria: non è chiaro, infatti, chi dovrebbe garantire – anche in Italia – la bontà e la precisione dei dati che vengono forniti dalle aziende di Big Tech in relazione allo sfruttamento dei contenuti. È il tema su cui si è basato il mancato accordo tra SIAE e Meta, è il tema su cui si concentra l’azione legale promossa dagli attori del teatro, sarà il tema dei possibili mancati accordi tra editori e social network sull’utilizzo dei loro contenuti.

Eppure, bastava guardare a quello che è accaduto negli altri Paesi del mondo non molto tempo fa. A proposito delle news, ad esempio, in Australia Meta non ha esitato a eliminare tutti gli articoli di giornale dalla piattaforma fino a quando il governo locale, attraverso un emendamento alla legge che stava preparando, non ha deciso di fare marcia indietro. Il principio del Davide contro Golia non sembra funzionare quando si parla di Big Tech.

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