Il problema dell’equo compenso rispetto alle piattaforme OTT anche per gli attori
La consapevolezza di questa situazione affonda le sue radici sin dal 2021, quando - dopo la pandemia e il conseguente aumento esponenziale della fruizione delle piattaforme OTT - gli attori iniziarono a porsi il problema
27/03/2023 di Redazione Giornalettismo
Facciamo un salto indietro nel tempo. Siamo nell’aprile del 2021. A quell’altezza cronologica, alcuni attori italiani – dopo che la pandemia aveva fatto aumentare in maniera esponenziale l’utilizzo delle piattaforme OTT, rendendolo di fatto l’unico modello economico applicabile al mondo del cinema – iniziarono a prendere consapevolezza del concetto di equo compenso applicabile alle loro prestazioni per le produzioni trasmesse su Netflix, Amazon Prime e altri concorrenti di questo genere. La conferenza stampa convocata due anni fa, ormai, si intitolava Non è equo questo compenso e poneva all’attenzione la grande sproporzione tra i guadagni degli over the top per la pubblicazione di opere protette e i diritti legati agli interpreti. Il discorso non riguardava tanto le produzioni cinematografiche appositamente realizzate per gli OTT, quando i prodotti storici dell’industria del cinema che, nelle piattaforme di streaming, hanno sempre ritrovato una loro seconda vita.
LEGGI ANCHE > Come appare, quindi, la pubblicità su Netflix?
Equo compenso per gli attori, il problema delle grandi piattaforme OTT
La prima rivendicazione si basava sulla crescita del mercato degli OTT avvenuta nel 2021 dopo il periodo della pandemia che aveva portato, in Italia, a un guadagno per le piattaforme di intrattenimento di 1,3 miliardi di euro, con la spesa – per i cittadini italiani – di 800 milioni in abbonamenti. Se si considera anche la crescita del mercato pubblicitario legato alle piattaforme di intrattenimento (e – in aggiunta a quel periodo storico – occorre dire che Netflix, ad esempio, ha deciso di implementare questa funzionalità anche sulla propria piattaforma), appariva – allora come ora – abbastanza imbarazzante il corrispettivo da garantire agli artisti del video: lo 0,2% rispetto a quanto speso dagli utilizzatori. Da quel momento in poi, nonostante il recepimento della direttiva europea sul copyright anche in Italia, la situazione non è affatto migliorata.
Da qui, la decisione di alcuni artisti italiani – i cui diritti sono tutelati dalla società Artisti 7607 – di intavolare una causa legale contro una piattaforma OTT come Netflix. Fino a questo momento, tutte le problematiche erano state più volte esposte di fronte a un’autorità come l’Agcom che, sempre in materia di equo compenso, ha regolamentato diversi settori, proprio in seguito al recepimento della direttiva europea sul copyright (tra questi settori, ricordiamolo, anche quello dell’editoria).
Al momento, il passaggio da effettuare sarà quello di portare avanti la propria tesi tra i corridoi del tribunale civile di Roma. E – se consideriamo anche il particolare momento storico, quando siamo in piena guerra dei diritti per quanto riguarda il settore musicale, con il venir meno dell’accordo tra SIAE e Meta – si tratta della prima azione legale di una certa importanza in termini di diritto d’autore contro un colosso del digital, dopo il recepimento della direttiva sul copyright.