Come “contrastare” i deepfake musicali con un cambio di paradigma del diritto d’autore

Quel contrastare lo abbiamo messo tra virgolette perché, più che altro, si tratta di trovare un accordo per rendere redditizi i deepfake musicali

10/08/2023 di Ilaria Roncone

Si tratta di un passo imprescindibile nell’accordo tra la musica e AI, quello che vede come primo passo il sodalizio di cui parliamo oggi, quello tra Google e Universal Music. Alcune fonti del Financial Times hanno spiegato come, una volta completato l’accordo, Google punterebbe a rilasciare una piattaforma AI per creare musica basandosi su voci e brani di artisti famosi. Tutto questo, come è giusto che sia, con il benestare degli artisti le cui opere e le cui voci vengono utilizzate per addestrare l’Intelligenza Artificiale, i quali riceverebbero un compenso per l’addestramento dei loro brani licenziati con Universal. Questo primo tentativo di imbrigliare l’AI affinché non deflagri il mondo della creatività musicale passa anche per la neutralizzazione dei deepfake musicali, ovvero tutte quelle canzoni che sono state generate e che girano in rete sfruttando software addestrati con materiale già esistente senza che ci sia stato il consenso dei musicisti.

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I deepfake musicali che diventano business

Lo scopo dell’accordo che sembra in procinto di essere tra Google e Universal Music è quello di evitare che l’impatto dell’AI nella musica sia eccessivamente negativo, andando a creare un problema al pari di quando – con la diffusione di Youtube – gli utenti hanno iniziato a pubblicare brani famosi (così come film famosi e, in generale, contenuti prodotti da copyright) su questa piattaforma.

Per rendere legale ciò che è illegale – il ragionamento va da sé – bisogna coinvolgere tutti gli attori del procedimento creativo andando a inserire il meccanismo di licenziamento dei diritti d’autore laddove prima non è mai arrivato. Parliamo, in questo casi, della concessione in licenza di voci e musica da parte degli artisti ai software che – tramite l’intelligenza artificiale – creano nuova musica a partire da ciò che è esistente.

Negli Stati Uniti prima che nel resto del mondo – come sempre accade – già si è assistito alla massiccia diffusione, con tanto di ingresso in classifica prima della rimozione dalle piattaforme, di brani interamente creati con l’AI. Con conseguenti guai. Un esempio è un duetto fake prodotto tramite AI di Drake e The Weeknd andato virale su Youtube. Già nel titolo del contenuto era reso noto come non ci fosse nulla di reale, come fosse tutto – appunto – frutto dell’opera dell’AI. Per dare un’idea della portata del fenomeno, riportiamo i numeri del brano: pubblicato inizialmente su TikTok, la canzone è stata ascoltata più di 8,5 milioni di volte. La versione integrale è approdata sia su Youtube che su Spotify e su quest’ultima ha collezionato 254 mila ascolti.

Come si argina un fenomeno di tale portata?

La risposta in breve: con un accordo come quello che c’è in ballo tra Universal e Google che, di fatto, contrasta i deefake musicali. Il punto è che anche le case discografiche e gli artisti possano monetizzare da questa attività che, a quel punto, diventerebbe un business a tutti gli effetti. Secondo le voci che girano nel settore, anche Warner Bros starebbe partecipando al dibattito.

In questa organizzazione, ovviamente, devono essere coinvolte otre alle case discografiche gli artisti (considerato anche che, come abbiamo visto nel monografico che abbiamo dedicato agli sceneggiatori contro l’Intelligenza Artificiale, il settore dei creativi in Usa è in tumulto). La scelta di concedere o meno i diritti per l’utilizzo di voce, testi e musica da parte dei software AI dovrebbe rimanere sempre libera, rimessa al singolo autore.

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