Si possono “legalizzare” le canzoni deepfake generate con l’AI?

Universal Music Group (una delle più importanti etichette mondiali) e Google stanno per chiudere un accordo che consentirà a chi detiene i diritti d'autore di monetizzare anche per la creazione di brani attraverso l'AI

10/08/2023 di Enzo Boldi

«Si non potes inimicum tuum vincere, habeas eum amicum». Questa frase, attribuita a Caio Giulio Cesare e che tradotta in italiano vuol dire «Se non puoi sconfiggere il nemico, fattelo amico», sembra essere la perfetta sintesi della trattativa arrivata quasi in porto tra un gigante delle etichette musicali e la più importante e influente azienda Big Tech. L’accordo tra la Universal Music Group e Google sta per rivoluzionare l’ecosistema del mondo fatto di melodie e parole, con l’obiettivo di trarre profitto anche dalla “diffusione” di quei brani deepfake che da tempo imperversano in rete e sulle principali reti di social networking.

LEGGI ANCHE > «L’AI applicata alla musica è ancora acerba, ma siamo obbligati a stare al passo», l’intervista a Marco Arata

La trattativa per giungere all’accordo – non ancora sancito in forma ufficiale – è rimasta silente per molti mesi. In questo lasso di tempo, però, la Universal si è più volte esposta contro le violazioni del diritto d’autore provocate dall’abuso di strumenti di intelligenza artificiale. Per esempio, ha chiesto alle principali piattaforme di musica in streaming (da Apple Music a Spotify) di rimuovere dalle loro librerie i brani generati con l’AI e i deepfake. Inoltre, meno di un mese fa la stessa etichetta musicale ha chiesto al Congresso USA una legge per tutelare il diritto d’autore dall’intelligenza artificiale e dai suoi strumenti.

Universal-Google, l’accordo per l’AI sui deepfake

Perché è la protezione del copyright l’obiettivo principale di questo tavolo aperto Universal-Google. Stando a quanto riportato dal Financial Times, la prima testata a ottenere conferme su questa trattativa, l’obiettivo dell’etichetta musicale non è quello di demonizzare l’evoluzione tecnologica dell’AI, ma dare un valore economico allo sfruttamento dei brani utilizzati per “addestrare” i modelli di intelligenza artificiale. Come farlo? Cercando di ottenere compensi (royalties) anche per la creazione di brani deepfake, come quelli che imperversano in rete da diversi mesi. Come spiegato dal FT, l’obiettivo è quello di una partnership tra le due parti (e anche la Warner Music avrebbe chiesto una bozza di accordo in quella stessa direzione) è la monetizzazione attraverso un contratto di licenza per l’utilizzo dei brani al fine di addestrare l’AI. In che modo? Pagando i legittimi proprietari del diritto d’autore su un determinato brano. Dunque, senza più abuso e violazione del copyright.

La strada è ancora lunga

In attesa di capire come e quando si concretizzerà il quadro di questa trattativa, anche altri grandi etichette musicali stanno seguendo con attenzione la vicenda. Monetizzare anziché venire “derubati” è solo uno dei passaggi fondamentali in attesa della costruzione di un piano normativo (che, per ovvi motivi, dovrà essere universale) in grado di scongiurare abusi. D’altronde, il principio è piuttosto palese: se per inserire una canzone in un film si ottiene una licenza e si paga il detentore del copyright, perché lo stesso non deve valere per l’utilizzo dei brani per generarne altri attraverso l’intelligenza artificiale? Giornalettismo proverà a spiegare, nel monografico di oggi, tutte le pieghe della questione, cercando di capire come tutto ciò potrebbe essere un grande passo per “legalizzare” anche i deepfake a livello musicale.

Share this article