C’è chi, in Europa, ha detto no a Google e Microsoft per la didattica a distanza

Fin dall'inizio della pandemia, molti Stati dell'Unione Europea hanno aperto a nuovi e forti investimenti per la creazione di una piattaforma ad hoc nazionale per la dad. Un progetto che era previsto anche in Italia, ma...

16/12/2022 di Enzo Boldi

Tra una polemica quotidiana e l’altra, anche nella testa dell’Italia stava balenando un’idea innovativa per il nostro Paese: spendere più soldi per la scuola, affinché si potesse sviluppare un software nazionale per la gestione della didattica a distanza senza dover dipendere dalle aziende multinazionali e dai loro prodotti già confezionati. Poi, però, non se ne fece più nulla. Le scuole italiane si sono appoggiate, come da indicazione del MIUR, ai pacchetti offerti da Google e Microsoft (c’era anche l’alternativa tricolore WeSchool che, però, non è stata tra le preferite dei dirigenti scolastici a cui era stata lasciata libera scelta) con tutte le problematiche annesse – nonostante gli accordi – sulla gestione dei dati personali e con buona pace della concorrenza. Ma con il proliferare della DAD in Europa, c’è stato anche chi ha deciso di non cedere alle aziende Big Tech e sviluppare (attraverso forti investimenti) software in house a livello nazionale.

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Partiamo dal nostro Paese. Dopo i via libera emergenziali all’utilizzo di piattaforme per la didattica a distanza, il progetto di un qualcosa tutto italiano correva lungo i corridoi del Ministero dell’Istruzione. C’era l’idea, ma non c’è stata la volontà. Oppure c’era la volontà, ma non c’è stata l’idea. Sta di fatto che l’ultima traccia di questo progetto risale a un comunicato stampa datato dicembre 2020 e pubblicato proprio sul sito del MIUR, all’epoca guidato dalla Ministra pentastellata Lucia Azzolina:

«Superata la prima fase emergenziale, si lavora ora ad una piattaforma nazionale che sarà messa a disposizione di tutte le scuole. Per la realizzazione del progetto il Ministero sta coinvolgendo, dal basso, anche attraverso lo strumento delle interviste sul campo, il personale scolastico. L’obiettivo è quello di costruire la nuova piattaforma con la collaborazione di chi dovrà poi utilizzarla».

E l’allora capo del dicastero dell’Istruzione, in quello stesso comunicato istituzionale, ha parlato di accelerazione dell’innovazione per dare le fondamenta solide alla scuola del futuro. Ma accelerare senza benzina lascia qualsiasi mezzo fermo. Immobile. E così è accaduto. Qualche mese dopo quel comunicato, infatti, arrivò la caduta del governo Conte-2 e l’arrivo di quello “tecnico” guidato da Mario Draghi. E di quella piattaforma per la didattica a distanza (anche quella digitalmente integrata) non se ne è più saputo nulla. L’Italia, nei casi specifici (prima della fine dello stato d’emergenza) ha continuato a utilizzare piattaforme Google e Microsoft, nella maggior parte dei casi.

DAD in Europa, c’è chi ha detto no a Google e Microsoft

E mentre l’Italia si impantanava, come la storia ha sempre insegnato, in governi che arrivano e governi che vanno, fuori dai confini nostrani le cose sono andate in modo differente. Il caso più emblematico, di cui avevamo già parlato in un precedente articolo, riguarda la Francia che di recente ha visto il Ministro dell’Istruzione transalpino dire un secco “no” alla proposta di Microsoft di offrire a tutti la possibilità di utilizzare Office Education 365 nelle scuole. Proposta allettante, ma non al passo con i tempi. Pap NDiaye, nel suo rifiuto, ha spiegato che i software offerti da aziende americane come Microsoft e Google non rispettano il GDPR (il caso Google Analytics insegna) e non sono compatibili con il sistema del cloud first vigente in Francia e non solo. Nonostante la gratuità, dunque, ci sono delle regole che intendono essere rispettate. Inoltre, la Francia ha immediatamente provveduto a sviluppare – fin dai momento più critici della pandemia, quelli in cui le restrizioni ai movimenti e alle possibilità di spostarsi – una propria piattaforma in house gestita a livello nazionale. Proprio per tutelare tutti i confini della protezione dei dati personali senza il rischio di incorrere in violazione da parte di Paesi terzi.

Dopo la Francia, la Germania

Come riporta il portale Tecnica della Scuola, anche la Germania non è rimasta con le mani in mano e ha immesso moltissima liquidità nella progettazione di una piattaforma nazionale per la didattica a distanza. Si parla di miliardi (e non di milioni di euro):

«Il Patto digitale per le scuole prevede un finanziamento federale di cinque miliardi di euro per la creazione di infrastrutture di apprendimento digitale in tutte le scuole generali e professionali della Germania. In vista della pandemia di coronavirus, il governo federale ha ulteriormente aumentato i finanziamenti: altri 500 milioni son previsti nell’ambito del Programma d’azione immediata per l’acquisizione di terminali digitali per gli alunni bisognosi. Le autorità scolastiche sono responsabili dell’acquisto e del prestito dell’attrezzatura agli alunni. Inoltre, il governo federale fornisce altri 500 milioni col proprio stimolo economico e il proprio pacchetto futuro. In questo modo si intende ampliare gli investimenti ammissibili al Patto digitale e finanziare la futura partecipazione della Confederazione alla formazione e al finanziamento. Compreso il contributo proprio degli Stati, pari al 10%, un totale di 6,6 miliardi è quindi disponibile per gli investimenti nel Patto digitale». 

Il sistema scolastico, in Germania, è gestito a livello federale, con i differenti Länder tedeschi che legiferano in modo differente. Ovviamente, però, questo piano è stato condotto con investimenti a livello nazionale proprio per evitare che ci fosse l’utilizzo di piattaforme potenzialmente dannose non solo per la protezione dei dati personali, ma anche per il mercato e la concorrenza interna.

Il caso Portogallo

Dopo due Paesi molto popolosi come Francia e Germania, tra quelli che hanno adottato la DAD in Europa senza affidarsi (e appaltarsi) alle aziende Big Tech troviamo il Portogallo. Il governo, infatti, non solo ha introdotto ma ha anche implementato nel corso degli anni una propria piattaforma nazionale per permettere agli studenti di continuare a usufruire delle lezioni, degli insegnamenti e di tutte le altre dinamiche legate alla didattica rimanendo a casa. Un impianto su cui si è continuata a costruire una gestione che può essere integrata con il presente e potrà tornare utile anche nel futuro.

DAD in Europa, le alternative c’erano

Questa rapida carrellata ha permesso di individuare la fonte del problema. Alternative a Google e Microsoft erano possibili. Sarebbe bastato aprire dei bandi (proprio durante la fase emergenziale) per iniziare l’anno venturo con la possibilità di offrire al pubblico studentesco delle alternative alle aziende Big Tech. L’Italia, invece, è rimasta ferma e inerme. Nonostante le sentenze sul trasferimento dei dati verso gli Stati Uniti, la cancellazione dello scudo UE-USA e l’impossibilità di chi è una piccola, media, ma anche grande azienda di poter mai competere con i Big Tech che, anche sulla didattica a distanza, hanno fatto cadere il loro mantello e hanno tolto la luce agli altri.

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