Cos’era e come funzionava la VPN Onavo, acquistata da Facebook nel 2013
Non è la prima volta che questo strumento finisce al centro delle critiche e nell'occhio del ciclone dell'ecosistema mediatico
27/03/2024 di Gianmichele Laino
Duecento milioni di dollari. Era stata questa la cifra destinata, nel 2013, all’acquisizione dell’app Onavo che si presentava sul mercato come una VPN (una virtual private network), ma che in realtà rappresentava una vera e propria miniera d’oro per acquisire dati comportamentali degli utenti che se ne servivano. Stando ad alcuni report del passato, grazie all’utilizzo di Onavo e alla misurazione del numero di messaggi che venivano scambiati con WhatsApp rispetto a quelli scambiati con Messenger, Facebook aveva preso la decisione di acquistare l’app di messaggistica, in una delle più chiacchierate operazioni che riguardano il mercato dei servizi digitali. La storia di Facebook e di Onavo, dunque, affonda le radici più di 10 anni fa, mentre le loro strade si sono separate tra il 2018 e il 2019, quando la legislazione (soprattutto europea) sul dato sensibile si stava facendo più aspra (erano i tempi degli esordi del GDPR) e quando il social network di Mark Zuckerberg aveva iniziato a essere attenzionato per vicende legate allo scraping dei dati (vi ricordate il caso di Cambridge Analytica?)
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App Onavo, cos’era e come ha funzionato per Facebook negli anni scorsi
Ovviamente, però, quando Facebook faceva uso di Onavo (e suggeriva ai propri utenti di servirsene), proponeva un impiego nobilitante dell’app stessa. In quanto VPN, si affermava, Onavo poteva essere utile a ridurre l’utilizzo dei dati, bloccare siti web pericolosi e proteggere il proprio traffico da ficcanaso. Al contrario, però, Facebook Inc. si sarebbe servita di Onavo proprio per analizzare i comportamenti degli utenti che l’avevano installata.
Quando la preoccupazione sulla privacy degli utenti cresceva, in seguito alla dismissione vera e propria di Onavo, Facebook aveva provato a incanalare nella trasparenza e nel consenso informato dell’utente le funzionalità di quell’app che aveva acquistato nel 2013 e che, qualche anno più tardi, era stata estromessa da Apple Store e Google Play Store per ragioni di sicurezza. Era nato il programma Facebook Research, rispetto al quale gli utenti che facevano parte del programma stesso erano avvisati che i loro dati potevano essere impiegati per studi e ricerche volti al miglioramento dei servizi. Anche Facebook Research, tuttavia, non ha successivamente passato i controlli di sicurezza dell’app store di Cupertino. A un certo punto, Facebook ha dovuto arrendersi e – per evitare problemi – ha definitivamente rinunciato a Onavo e a tutti i suoi derivati.
Al di là della proposizione di partenza e “di mercato” di Onavo (presentata ufficialmente come “VPN per stabilire una connessione sicura per indirizzare tutte le comunicazioni di rete attraverso i server”), la comunità tecnologica aveva sin da subito evidenziato la capacità di acquisire dati personali degli utenti che se ne servivano e di monitorare i loro comportamenti. Per questo, qualcuno si era spinta a definirla un vero e proprio spyware, il cui utilizzo è stato sdoganato di fronte a tutta la comunità digitale per un certo periodo di tempo.