È giustificata l’enfasi mediatica riservata allo studio sul «coronavirus in Italia a settembre»?

Ci sono alcuni aspetti che è opportuno chiarire relativamente allo studio pubblicato sul Tumori Journal

16/11/2020 di Gianmichele Laino

Come spesso accade con la pubblicazione di un lavoro scientifico su una rivista, il fatto che le conclusioni possano avere degli aspetti impattanti su un argomento molto caldo (in questo caso, la diffusione del coronavirus in Italia) superano di gran lunga la prudenza nella diffusione delle conclusioni stesse. È quanto accaduto sullo studio che parla della diffusione del coronvirus in Italia a settembre 2019 pubblicato dalla rivista Tumori Journal, che ha trovato ampio spazio su tutti i quotidiani online (compreso questo) e che – oggi – è al centro di interviste e discussioni anche sui cartacei.

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Coronavirus in Italia a settembre, la grande enfasi mediatica dello studio

Nel pomeriggio di ieri, la notizia è stata in apertura sul Corriere della Sera e su Repubblica e sappiamo come queste due testate possano influenzare l’agenda setting del giornalismo italiano. Tuttavia, all’interno della comunità scientifica si è avviato un dibattito che vale la pena riportare. Sia chiaro: non si mette in dubbio il risultato raggiunto dallo studio pubblicato sul Tumori Journal, ma si contestualizza lo stesso studio, in attesa che – dal team di ricerca – possano arrivare delle ulteriori indicazioni sulle metodologie utilizzate per arrivare alle conclusioni riportate nell’articolo.

Coronavirus in Italia a settembre, gli aspetti da approfondire

In primo luogo, una questione nel merito. Lo studio è stato condotto a partire da un numero di oltre 900 campioni estrapolati da persone che hanno partecipato a uno screening sul tumore al polmone tra settembre 2019 e marzo 2020. Tra questi, l’11,6% dei casi presentava gli anticorpi del coronavirus e, all’interno di questo gruppo, il 14% era riferibile al mese di settembre. Praticamente circa 15 persone. La comunità scientifica si interroga a proposito del fatto che i test effettuati siano specifici per il Sars-Cov-2: in caso contrario, potrebbe esserci della «cross-reattività» con altre tipologie di coronavirus (ricordiamo che il Sars-Cov-2 non è l’unico di questa famiglia e gli altri sono conosciuti da diverso tempo).

Stando alle testimonianze del team – sia attraverso le interviste rilasciate, sia attraverso gli interventi su  Twitter – i test sarebbero inoppugnabili, anche se rappresentano test non commerciali sviluppati presso l’università di Siena.

Coronavirus in Italia a settembre e il ruolo del Tumori Journal

Inoltre, l’altro aspetto contestato consiste nel fatto che la rivista su cui lo studio è stato pubblicato abbia un IF (ovvero un fattore di impatto, il criterio con cui si misura l’autorevolezza di una rivista scientifica) più basso rispetto ad altre riviste specializzate. Lo studio, poi, sarebbe stato sottoposto alla rivista pochissimo tempo prima della pubblicazione, mentre di solito il delta tra la proposta e la pubblicazione rappresenta un indice importante di accuratezza e di revisione.

Insomma, lo spunto è senz’altro interessante e si colloca comunque in una direzione presa in esame dalla comunità scientifica (il fatto che il Sars-Cov-2 circolasse in Europa già prima dei casi ufficialmente certificati), ma occorre far luce su alcuni aspetti. L’enfasi che c’è stata sulla stampa nazionale, insomma, sarebbe dovuta arrivare soltanto dopo un ulteriore approfondimento dello studio stesso,

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