Il virologo Burioni: «La lattoferrina non previene né cura il Covid-19»
Brutte notizie per chi aveva sperato in una cura
31/10/2020 di Federico Pallone

Non vi sarebbe alcuna evidenza clinica sull’utilità della lattoferrina per prevenire o curare il Covid-19. A dirlo, con un post pubblicato su Twitter, è il virologo Roberto Burioni.
Non esiste nessuna evidenza clinica dell'utilità della lattoferrina nel prevenire o curare COVID-19. Chi sostiene il contrario, invece di insultarmi, dovrebbe indicare i riferimenti bibliografici che dimostrano questa utilità. Ma non ci sono e non può farlo. Per cui taccia. Amen pic.twitter.com/FfLscpc9Vi
— Roberto Burioni (@RobertoBurioni) October 30, 2020
«Ricevo molte richieste in merito, per cui rispondo collettivamente a tutti. Non esiste nessuna evidenza clinica che indichi l’utilità della lattoferrina nel prevenire o curare Covid-19», ha scritto Burioni. «Chi sostiene il contrario, invece di insultarmi, dovrebbe indicare i riferimenti bibliografici che dimostrano questa utilità. Ma non ci sono e non può farlo. Per cui taccia. Amen».
La lattoferrina è una proteina che trasporta il ferro nel sangue, che si può anche assumere in via orale come integratore alimentare. A maggio un lavoro dell’Institute of East West Medicine e dell’Università di Hong Kong, condotto in vitro, sosteneva che avesse effetti immunomodulatori e antinfiammatori unici, rilevanti per le modifiche organiche causate dalle forme gravi di Covid-19. Poi a settembre uno studio condotto dall’università Roma Tor Vergata, in collaborazione con la Sapienza di Roma e l’Università di Padova, sembrerebbe aver dimostrato, sempre in vitro, che la lattoferrina può ridurre i tempi di eliminazione del virus nei soggetti con pochi sintomi o paucisintomatici. «I risultati in vitro – aveva spiegato il direttore dell’Unità di Malattia infettive di Tor Vergata, Massimo Andreoni – evidenziano che il farmaco è stato in grado di bloccare l’attacco del SarsCov2 alle cellule mentre sull’uomo ha ridotto i tempi di eliminazione del virus nei soggetti infetti paucisontomatici». Lo studio è stato condotto su 50 soggetti ed ora «la sperimentazione si allargherà ad un campione più ampio, che comprenderà anche soggetti con sintomi maggiori».