La sentenza che fa scuola: perché le opere generate dall’AI non possono essere tutelate dal diritto d’autore

Si tratta di una decisione del giudice federale di Washington, che ha respinto la richiesta di uno scienziato informatico (che, grazie all'AI, voleva essere considerato anche un artista)

22/09/2023 di Gianmichele Laino

I binari di quella che sembra una ferrovia abbandonata. Un arco sullo sfondo. Molto verde e anche qualche fiore a intrecciarsi con i rami. Un’immagine che sembra venuta fuori da un libro di fiabe, una sorta di illustrazione di un mondo magico. Un’unica differenza: quell’immagine non è stata elaborata dal tratto di una penna, dalle setole di un pennello per acquerelli, ma direttamente da un modello di intelligenza artificiale generativa. L’autore di questo modello di intelligenza artificiale si chiama Stephen Thaler, la piattaforma che ha elaborato l’immagine si chiama Creativity Machine e l’opera è stata intitolata Recent Entrance to Paradise. Secondo Thaler – che ha realizzato questo strumento di intelligenza artificiale ben prima che Open AI diventasse mainstream -, questa opera potrebbe essere tutelata dal copyright.

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Copyright opere AI: ha senso parlarne?

Nel tentativo di verificare questo assunto, Thaler aveva presentato la sua visione al Register of Copyrights and Director of the United States Copyright Office, l’ufficio che disciplina il copyright negli Stati Uniti. Tuttavia, l’istituzione aveva respinto in blocco le argomentazioni dello scienziato informatico, facendo riferimento al corpus normativo del Copyright Act. Quest’ultimo specifica che le opere che devono essere tutelate dal diritto d’autore sono esclusivamente quelle derivanti dall’ingegno umano. L’immagine Recent Entrance to Paradise invece è stata tecnicamente elaborata da una macchina.

Non solo. Ma nell’esaminare la pratica di Thaler, l’Ufficio Copyright degli Stati Uniti aveva anche messo in dubbio il valore artistico in sé dell’opera, considerata abbastanza banale e priva di originalità. Altro aspetto che aveva portato l’istituzione a respingere la richiesta.

Tuttavia, Thaler non si è fermato ed è andato avanti. Ha istruito un esposto presso un tribunale di Washington, che ha dovuto esaminare la sua causa contro l’Ufficio Copyright. Nella sentenza pubblicata il 18 agosto scorso, il giudice Beryl Howell ha dato ragione all’Ufficio Copyright, facendo segnare una nuova sconfitta per lo scienziato che voleva diventare artista, grazie all’intelligenza artificiale. Le argomentazioni della causa che aveva istruito riguardavano innanzitutto la sfumatura che c’era dietro al concetto di non ritenere Recent Entrance to Paradise un’opera dell’ingegno umano. L’intelligenza artificiale generativa di Creative Machine, infatti, era comunque stata un elaborato dei suoi studi; inoltre, sempre secondo Thaler, nel Copyright Act non si specificava in alcun modo il confine di definizione di “ingegno umano”. Per concludere, lo scienziato contestava anche la “banalità” con cui veniva etichettata la sua opera: in passato, sosteneva, addirittura denominazioni aziendali basate su rielaborazione del cognome dei proprietari erano state considerate “opere originali”.

La sua tesi, tuttavia, non ha convinto il giudice. E la sentenza, che si colloca cronologicamente in un momento in cui il tema dell’intelligenza artificiale e del copyright sta assumendo una nuova luce (poiché strumenti come ChatGPT o DALL-E sono letteralmente esplosi e hanno dimostrato come il tema del copyright sia effettivamente ben presente quando si parla di intelligenza artificiale), assume una veste nuova rispetto all’inizio del procedimento. Mentre le opere su cui l’intelligenza artificiale si basa per l’apprendimento devono essere tutelate dal diritto d’autore, le opere che derivano dall’attività dell’intelligenza artificiale non sono considerate parimenti originali. Né, quindi, tutelabili.

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