«Capiamo quello che abbiamo votato: con il contratto di servizio noi diamo solo un indirizzo»

Le parole del commissario di Vigilanza Dario Carotenuto. Il contesto che aveva portato al voto sul contratto di servizio

08/11/2023 di Gianmichele Laino

Il contratto di servizio è uscito dalla commissione di Vigilanza Rai, pronto per essere inviato al ministero competente. La discussione politica che ha caratterizzato il voto è stata accesa e ha riservato anche delle sorprese. Si è parlato moltissimo, ad esempio, del voto favorevole del Movimento 5 Stelle, dissonante rispetto al resto delle opposizioni (il Pd, ad esempio, ha votato contro; Azione si è astenuta). Tuttavia, a Giornalettismo, interessa poco la dinamica politica che si è venuta a creare all’interno della commissione di Vigilanza. Ci preme molto di più sapere se, al suo interno, la questione della trasformazione della Rai in digital media company è stata prevista. La bozza del contratto di servizio non lasciava grandi margini su questo aspetto; il testo finale, sebbene modificato in qualche punto, ci lascia la medesima impressione. Tuttavia, Dario Carotenuto – capogruppo M5S in commissione di Vigilanza – ci ha spiegato come contestualizzare il documento.

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Contratto di servizio e Vigilanza, l’opinione dall’interno

«Il contratto di servizio è un parere che noi diamo come Vigilanza – dice a Giornalettismo -. Il testo che ci è arrivato dal ministero era irricevibile e ci siamo davvero impegnati per migliorarlo il più possibile. Questo lavoro è stato fatto anche grazie al senatore dem Antonio Nicita che, godendo della nostra stima, è stato incaricato di fare il relatore del contratto di servizio. Lui ha fatto un grande lavoro e, anche in virtù di ciò, nel contratto di servizio sono finite delle questioni importanti, come ad esempio la difesa del giornalismo d’inchiesta. Tuttavia, sulle modifiche che abbiamo apportato sarebbe stata necessaria la condivisione più ampia possibile, altrimenti il ministero sarebbe potuto tornare indietro al testo iniziale. Non capiamo il motivo per cui tutto quel lavoro che è stato fatto insieme, a un certo punto, non andava più bene».

Chiediamo, a quel punto, se nel testo siano effettivamente presenti delle specifiche per determinare che cosa deve accadere, praticamente, per trasformare la Rai in una media company: «Sulla media company – spiega Carotenuto – ci sono degli impegni molto chiari che vanno verso questo obiettivo e, da questo punto di vista, sono state aggiunte delle specifiche all’interno dell’articolo 3 del testo definitivo del contratto di servizio. La trasformazione in media company è una necessità, non è una possibilità: se la Rai vuole stare sul mercato in modo sano non può perdere terreno su questo fronte. Poi, siamo chiari, quella che abbiamo approvato oggi è una carta d’intenti e di obiettivi».

Vediamo quali sono le aggiunte a cui fa riferimento l’esponente M5S. Sono riassunte nei commi c-bis, c-ter, c-quater e d-bis inseriti all’interno dell’articolo 3 che riguarda proprio la media company. Attraverso queste precisazioni, la commissione di Vigilanza suggerisce alla Rai di «rendere la propria offerta multimediale sempre più accessibile agli utenti con disabilità […]; implementare la piattaforma RaiPlay anche per il tramite di accordi volti alle coproduzioni ed alleanze strategiche; potenziare il servizio streaming con l’intento di rendere Raiplay maggiormente fruibile; sviluppare e adottare algoritmi innovativi per la ricerca e l’indicizzazione dei contenuti che assicuri un livello di autonomia nella selezione del contenuto audiovisivo da parte dell’utente. La Rai si impegna a tutelare la sovranità digitale dei cittadini, il loro diritto alla privacy e la sicurezza dei dati personali nel rispetto dei più alti standard di protezione». Si tratta di affermazioni generali, linee guida e linee di indirizzo. Il deputato Carotenuto ci spiega che bisogna contestualizzarli.

«Anche sui criteri di misurabilità e sui risultati da raggiungere per la media company – dice – ci sono degli impegni. Si può fare tanto, in particolare su Raiplay, ma ci sono stati dei passi in avanti. Qualcosa c’è già (soprattutto articolti su monitoraggio e comunicazione), ma altro verrà inserito dalla commissione paritetica, che adesso, come previsto da questo cdsa, avrà anche 2 membri della Commissione di Vigilanza».

È un contratto o no?

Insomma, a quanto pare, il contratto di servizio (anche se viene denominato contratto) non ha un valore vincolante. Le direttive vere e proprie devono poi essere sviluppate all’interno dell’azienda Rai. Il compito della politica – e della commissione di Vigilanza in particolare – sarà poi eventualmente quello di interrogare il governo sulle performance o le disfunzioni tecniche della Rai. Ci si dovrebbe aspettare – per inciso – che quanto è stato fatto con Dazn (su cui si sono spese delle interrogazioni parlamentari in corrispondenza dei suoi malfunzionamenti nella trasmissione delle partite della Serie A) anche in caso di problemi di Raiplay nella trasmissione in diretta streaming.

«Lei pone un tema corretto su cui è giusto fare dei ragionamenti – spiega Carotenuto -. In questo contratto di servizio, c’è un potenziamento di Raiplay, che passa anche dalla richiesta di creazione di prodotti nativi digitali. Ma siamo sempre nell’ambito di un programma non vincolante. Prima di fare qualsiasi ragionamento, dobbiamo capire bene quello che abbiamo votato: noi, con il contratto di servizio, diamo soltanto un indirizzo».

Insomma, si torna nuovamente alla questione politica distante però, dalle tecniche di gestione e dallo sviluppo della digitalizzazione dell’azienda Rai: «Noi vorremmo liberare i partiti dal peso della Rai – spiega l’esponente del M5S -. È il nostro obiettivo da sempre. Oggi stiamo parlando di una Rai condizionata da una legge sulla governance voluta dal Pd all’epoca di Renzi, sulla quale – tra l’altro – il Pd adesso sta facendo dei ragionamenti per tornare indietro. Vorremmo fare degli Stati generale per la Rai per rivedere la missione del servizio pubblico: la lottizzazione di questa realtà che è la più importante industria culturale del Paese non ha fatto altro che ridimensionarla nella qualità delle sue performance».

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