Come facciamo a rendere l’e-commerce sostenibile?
Sia lato aziende che lato utenti ci sono vari modi e varie questioni a cui prestare la massima attenzione per creare un ecosistema sostenibile
14/02/2023 di Ilaria Roncone
Quanto è sostenibile l’e-commerce e come possiamo fare per aumentare il livello di sostenibilità del sistema? Si tratta di un argomento estremamente complesso che – come sempre, quando si parla di rivoluzioni per l’ambiente a favore di uno stile di vita più green – necessità di un approfondimento che parte da diversi presupposti. Puntando al futuro in ogni settore è fondamentale porre un focus sull’ambiente e – considerati i numeri dell’e-commerce italiano che vale 71 miliardi ed è in costante crescita (come riporta anche Fortune) – la direzione che prenderanno le vendite digitali è fondamentale. Dell’e-commerce sostenibile ha senso parlare anche perché è esattamente quello che gli utenti del futuro si aspettano andando a creare un ecosistema sempre più strutturato in questo ambito.
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Quale è il futuro più prossimo dell’e-commerce?
Per capire a che punto siamo è sicuramente utile sfruttare le parole che Roberto Liscia, Presidente di Netcomm (Consorzio del Commercio Digitale Italiano) ha affidato alle pagine di Agenda Digitale. Cosa ci aspetta quest’anno? «Il commercio digitale nel 2023 – scrive Liscia – tenderà a configurarsi sempre più come un ecosistema, in cui grandi piattaforme internazionali e piccole e medie imprese locali coesistono e collaborano in un orizzonte sinergico».
Il futuro più prossimo dell’e-commerce in Italia – come evidenzia un’indagine di Netcomm in collaborazione con Statista – evidenzia una stima precisa: nel 2023 due terzi della popolazione italiana comprerà anche online. Le abitudini dei consumatori, quindi, sono sempre più rivolte al commercio digitale e in. virtù di questi dati appare evidente la fondamentale importanza di rendere questo ambito sostenibile mentre lo scolpiamo, passo dopo passo, coinvolgendo tutti i nodi di questa catena di produzione e consumo.
La necessità di un e-commerce più sostenibile: il caso di Vinted
Partiamo da una domanda che molti si pongono, da un po’ di tempo, e che ha fatto sì che si potesse far luce su tutte le ombre di un’applicazione come Vinted. Cosa ci può mai essere da ridire, considerato che la mission dell’app è quella di incoraggiare l’acquisto di capi e oggetti di seconda mano fornendo loro nuova vita e evitando di andare a comprare cose nuove? La speranza di diminuire – tramite questo meccanismo – la domanda di beni nuovi favorendo un’economia circolare c’è ed è sensata, vanno però presi in considerazione anche altri aspetti non solo dell’applicazione ma del modo in cui le persone utilizzano questa e – più in generale – tutte quelle simili.
Far arrivare un capo dalla Francia – chi usa Vinted in Italia lo sa: spesso e volentieri la maggior parte degli utenti si trovano lì e da lì acquistano – non contribuisce certo a diminuire le emissioni e, anzi, può aumentarle. Capita spesso, inoltre, che i capi venduti non siano eccezionali ma appartenenti alle solite catene di fast fashion dalle quali non dovremmo comprare – in cima alla lista Shein e Zara – e questi vengono caricati e cercati ogni giorno. Che senso ha rivendere qualcosa di Zara per comprare altro di Zara? C’è poi il rischio concreto che le persone comprino ancora di più nei negozi perché “tanto poi lo rivendo”.
Vinted stesso, poi, invoglia l’utente a consumare e – come ogni applicazione – a rimanere sull’applicazione. Si crea, così facendo, un vero e proprio circolo vizioso in cui il denaro che guadagno è immediatamente spendibile sull’app per comprare altro e potenzialmente caricabile sul conto aspettando dai 2 ai 7 giorni. Infine, se all’apparenza il claim di Vinted punta sul mettere in vendita ciò che non si usa più favorendo l’economia circolare («non lo usi, mettilo in vendita»), ci sono versioni degli spot di Vinted che evidenziano quanto convenga usarlo in virtù del fatto che «compri più cose con lo stesso budget». Con buona pace della sostenibilità.
Come facciamo a rendere l’e-commerce sostenibile?
Rendere l’e-commerce più sostenibile deve essere interesse primario delle aziende perché l’attenzione delle persone alla tematica – soprattutto dei più giovani, i consumatori del futuro che appartengono alla generazione di Greta Thunberg – è sempre più alta. In che modo l’e-commerce e chi vende in rete possono (e devono) soddisfare le richieste degli utenti?
Su cosa devono puntare le aziende di e-commerce e a cosa devono fare attenzione – arrivando ad esigerlo – gli acquirenti in rete? Lato negozi online, è fondamentale riuscire a creare una formula tale per cui ai clienti convenga acquistare prodotti che – per metodo di produzione, materiali utilizzati, meccanismi di spedizione e imballaggio – risultino ecosostenibili. Cosa vuol dire? Che devono costare poco. Gli e-commerce devono trovare metodi per risultare accessibili e sostenibili allo stesso tempo.
La trasparenza sulla questione, rendendo chiara l’attenzione posta nei confronti dell’ambiente in ogni ambito – dalla scelta dei materiali per gli imballaggi alla policy di riciclo o di riutilizzo di ciò che viene reso – è un altro punto cardine. Chi sceglie di ridurre la produzione di rifiuti e di incentivare il riciclo, usando meno plastica possibile negli imballaggi, verrà sicuramente premiato dai consumatori attenti alla sostenibilità.
Porre l’accento anche sulle condizioni di produzione, ovvero sulla sostenibilità dei processi, è un altro punto sul quale occorre lavorare. C’è infine da considerare la questione emissioni CO2, che si possono ridurre preferendo rifornimento non troppo lontane (ancor meglio se a livello regionale) e preferendo forme e mezzi di spedizione che possano neutralizzare le emissioni prodotte.