Clinicamente risorto

Guardiamo i dati e abbiamo paura. Gli scrittori si chiudono in bagno a piangere per la decisione sulle scuole

15/10/2020 di Gianmichele Laino

Io me la ricordo bene, quella domenica 31 maggio. Me la ricordo perché, dopo tanto tempo, ci eravamo spinti un po’ oltre rispetto a quella linea immaginaria, una sorta di circonferenza in verità, che avevamo tracciato, con casa nostra al centro del cerchio e il supermercato come ultimo estremo del suo diametro. Era una bella giornata di inizio estate, con la luce che tagliava i palazzi in maniera diversa, qualche persona in più per strada e una boccata di fiori di pesco. Nelle notifiche del cellulare, un articolo di Giornalettismo in cui Alberto Zangrillo del San Raffaele affermava che il virus era clinicamente morto.

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Clinicamente risorto, il paradosso di un’espressione

Erano giorni in cui cercavamo di contattare il presidente della Fondazione Gimbe Nino Cartabellotta per un’intervista. Quello scambio di battute con Alberto Zangrillo a Mezz’ora in più di Lucia Annunziata rese l’impresa ancor più complessa. Fu un dibattito che fece scalpore. La frase pronunciata da Zangrillo era forte e sarebbe rimasta nella narrazione dell’estate italiana del coronavirus per giustificare le feste in spiaggia. Inutile dire che il presidente Cartabellotta non fosse d’accordo neanche un po’. Riuscimmo a parlare con lui soltanto 12 giorni dopo. Lui sommerso da richieste di intervista che gli avevano riempito all’improvviso l’agenda. Noi pieni di domande da fargli.

Nonostante l’ottimismo di quei giorni e quell’aria un po’ frizzante della bella stagione alle porte – il desiderio, rimasto tale, di una grigliata in montagna si stava insinuando nei nostri pensieri -, non avevamo mai dubitato delle parole di Cartabellotta, mostrandoci scettici sul virus clinicamente morto di Zangrillo. A settembre, ci sono stati Briatore e Berlusconi a far vacillare questo assunto e a causare le prime marce indietro sulla frase utilizzata («ho usato un’espressione stonata» – aveva detto il 4 settembre).

Clinicamente risorto, usiamo l’ironia ma siamo spaventati

Oggi, leggiamo i dati e siamo spaventati, anche se Alberto Zangrillo, in un estremo slancio di ottimismo, continua a scrivere sui social network che il problema non sono le terapie intensive. E che, se fossimo arrivati a quel punto, avremmo già perso.

La scrittrice Valeria Parrella, su Twitter, ha dichiarato di aver versato lacrime chiusa in bagno, quando ha sentito la notizia dell’ordinanza di Vincenzo De Luca che, per la seconda volta in un anno, ha sospeso le attività didattiche in presenza (ma possiamo usare l’espressione ‘ha chiuso le scuole’?) fino al 30 ottobre a causa della diffusione incontrollata dei contagi. E il virus che – lo aveva detto la televisione – era clinicamente morto, ora per i social è «clinicamente risorto».

Ironia amara, per stemperare la tensione. Sarebbe una banalità citare Game of Thrones e l’inverno che sta arrivando. Ma c’è questa sensazione di assenza di primavera nell’anima che ci fa piangere insieme a Valeria Parrella. Lei in bagno, noi dalla scrivania di una redazione giornalistica. Non vogliamo tornare a trascorrere le nostre giornate aspettando le sentenze delle 18.

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