Il giornalista detective che “dimentica” la vittima di femminicidio per concentrarsi sul “dramma” del colpevole

L'articolo pubblicato su PrimoCanale dove il cronista “amico” dell'uomo che ha ucciso Clara Ceccarelli racconta solo un punto di vista quasi puntando tutto sulla pietas

27/02/2021 di Enzo Boldi

Ci sono storie che devono essere raccontate, ma esistono anche i modi giusti per raccontarle. Eppure, anno 2021, ci sono ancora alcuni giornalisti che per parlare di un determinato fatto di cronaca utilizzano strategie che puntano quasi a creare empatia tra il lettore e l’assassino. Esatto: empatia nei confronti dell’assassino e non della vittima di un efferato omicidio. L’ultimo caso arriva da Genova, dove la scorsa settimana è stata brutalmente uccisa con più di cento coltellate Clara Ceccarelli. La mano omicida è quella di Renato Scapusi, ex compagno della donna. Un femminicidio come, purtroppo, uno dei tanti che riempie le pagine di cronaca dei giornali. Perché la violenza degli uomini sulle donne non è la mistificazione della realtà, ma un virus della società contemporanea.

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Oltre cento coltellate che hanno tolto la vita a Clara Ceccarelli. Cento colpi inferti dal suo ex compagno all’interno del negozio di calzature in cui la 69enne lavorava e di cui era proprietaria. Insomma, l’uomo non ha provato alcuna pietas (nel senso cristiano del termine) nei confronti della vittima designata della sua follia omicida. Ma quella pietà compassionevole – ma non per il carnefice – è stata trovata da un cronista di PrimoCanale.it che nei giorni scorsi ha pubblicato una sua testimonianza sull’assassino.

Ovviamente pensiamo che questo articolo sia stato frutto della buona fede del cronista amico di Renato Scapusi (anche se il loro rapporto non era propriamente di amicizia, nel senso generico del termine, come spiegato dallo stesso giornalista). Ma la narrazione che ne viene fuori è sbagliata. Prendiamo alcuni estratti per capire meglio.

Clara Ceccarelli, l’articolo di PrimoCanale sull’assassino

«Poco più di un mese fa incontrandolo in piazza Banchi, nel centro storico, stanco, lacero, sporco, lui si fosse fermato a parlarmi e, nonostante non avessimo più confidenza, si era subito sfogato: “Sono disperato, sono senza lavoro, la mia donna mi ha lasciato, i mie familiari non ci sono più, sono completamente solo e in mezzo alla strada, non ho da mangiare e non so dove dormire, mi serve un lavoro». Così gli chiede il numero di telefono per rimanere in contatto: «Lui mi aveva risposto che il cellulare era spento perché tanto non aveva credito e nessuno lo cercava mai: una risposta che mi aveva fatto capire che il suo dramma era vero».

L’empatia con il carnefice

Fino a qui la narrazione è nei canoni del giornalismo corretto: giusto parlare della situazione, anche se già si intravede quel senso di empatia nei confronti dell’assassino. Poi, la conclusione: «Scopro allora che era da sempre vittima del gioco: gratta e vinci e casinò di Sanremo, giocate compulsive nella speranza di diventare milionario». Il tutto senza mai citare il nome di Clara Ceccarelli, la vittima della follia omicida di Renato Scapusi, se non nella prima riga in modo da contestualizzare la notizia e il commento. Nessuna parola di conforto e condanna, ma un senso di frustrazione per le condizioni in cui viveva l’uomo. E non è il modo corretto per parlare di un omicidio.

(foto di copertina: IPP/fb 19/02/2021 femminicidio a Genova)

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