Quali sono i rischi dell’inserimento di un microchip nel cervello umano?

Elon Musk ha condiviso il traguardo di Neuralink, ovvero l'inserimento di un chip nel cervello umano entro sei mesi. Ci sono però una serie di rischi da tenere ben presenti

02/12/2022 di Ilaria Roncone

Nella giornata di approfondimento che abbiamo scelto di dedicare all’annuncio di Elon Musk relativo al «chip di Neuralink entro sei mesi nel cervello di un essere umano» ci siamo fatti domande anche dal punto di vista etico e morale. Quali sono i rischi di un progresso di questo tipo e quali i possibili risvolti negativi (sia a livello pratico che a livello teorico) dell’utilizzo di chip nel cervello umano? Abbiamo dialogato con il professor Leopoldo Sandonà, docente di filosofia e bioetica della facoltà teologica del Triveneto e coordinatore del progetto Etica e Medicina della Fonazione Lanza. La premessa del dialogo sul chip Neuralink che abbiamo avuto con il professore è la seguente: «Quando ci occupiamo di queste tematiche cerco sempre di evitare le letture o tutto bianco o tutto nero, o tutto buono – per cui ciò che è progresso viene percepito come automaticamente buono anche sul piano morale – oppure, al contrario, qualcuno che è sospettoso verso il nuovo e automaticamente lo dipinge in modo negativo. Bisogna cercare di calarsi nei singoli temi». Lo scopo, quindi, è quello di trovare una quadra senza cadere in quella polarizzazione che, troppo spesso e per qualsiasi tematica, viene oggi adottata come metodo di analisi del mondo.

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Bioetica, medicina dei bisogni e medicina dei desideri: le basi

Volendo inquadrare la questione chip Musk dal punto di vista etico, iniziamo dalle basi. Parlando dell’ambito della bioetica «il potenziamento – il cosiddetto enhancement – è un tema che si è molto affermato, soprattutto in quello che è il passaggio da una medicina dei bisogni a una medicina dei desideri, ovvero da attività, operazioni e terapie che facciamo per reintegrare ciò che non funziona e quello che facciamo per potenziare in modo indefinito le nostre funzionalità e le nostre capacità. Già qui, secondo me, c’è un grosso discrimine morale perché è chiaro che – nella misura in cui questi potenziamenti possano essere utilizzati in chiave terapeutica, secondo un rigido controllo e una delimitazione molto forte del campo – eticamente, da un punto di vista generale, non c’è una valutazione negativa perché, ovviamente, c’è la finalità terapeutica. Se parliamo dell’editing genetico posso fare esperimenti senza limiti o utilizzare questo in chiave delimitata e con un controllo». In sostanza: un conto è fare tutta questa ricerca per dare un plus all’essere umano, un conto è farlo per riparare ciò che è rotto – per esempio riparare un midollo spinale – riportando il corpo all’origine.

«C’è quindi un aspetto antropologico che emerge. Le due domande che uno può farsi relativamente a questi potenziamenti: perché li vado a fare? Per riparare o per un potenziamento indefinito, e per chi? Nel caso di disabilità e patologie le sperimentazioni sono benvenute. Come risvolti negativi direi che, sicuramente, il problema può essere l’utilizzo di ciò che si evince da queste sperimentazioni in altri campi, per esempio campi militari o campi di manipolazione, a volte il potenziamento è partito dall’ambito sportivo non solo attraverso il classico doping ma anche attraverso un potenziamento di carattere atletico e di carattere farmacologico».

I rischi concreti del chip di Neuralink e, in generale, del progresso in tal senso

Nell’ambito della pura teoria e delle ipotesi sulle derive del tipo di tecnologia su cui Musk vuole puntare, «il problema potrebbe avvenire laddove il potenziamento non è solo cognitivo ma fatto per portare a una alterazione comportamentale in favore di attitudini socialmente più performanti. Se installo un microchip e questo microchip è programmato, può darsi che porti il soggetto microchippato – chiamiamolo così – ad avere cambiamenti “teleguidati” e questo, rispetto a una concezione antropologica che mette la persona e la sua libertà al centro, sicuramente provoca una sorta di cambiamento dell’individuo stesso». L’esempio militare – coi soldati più performanti e spinti ai limiti – è solo uno di quelli possibili: «Ce ne sono altri, anche semplicemente rispetto al lavoro: non ho problemi con i dipendenti perché li programmo in un modo che sia più congeniali alla mission del loro lavoro».

«A questo punto, però, dove sta la libertà della persona? Ci sarebbe ancora se si arrivasse a queste derive?», conclude Sandonà. In questo caso risulta sicuramente utile tenere presente quello che viene chiamato «principio della non maleficenza bella bioetica classica, ovvero la bioetica nel trattamento dell’altro deve perseguire il bene ma deve stare anche attenta ad evitare che un bene sperato provochi effetti collaterali – della serie, per curare una patologia poi mi ritrovo con un’altra patologia -. Quella dei microchip credo sia una delle pratiche in cui questo principio deve essere tenuto ben presente: volendo perseguire il bene di alcuni pazienti rischio di sperimentare cose che possono essere utilizzate altrove, in altro modo».

In sostanza, il progresso deve essere incoraggiato perché può portare a risvolti estremamente positivi per la salute umana ma – in un certo senso – deve necessariamente essere supervisionato, direzionato e guidato in una direzione che non sia solo del progresso per il progresso ma che prenda in considerazioni anche una serie di scenari che potrebbero accidentalmente derivarne.

A prescindere dal chip nel cervello umano, siamo già in una dimensione post-umana

«Credo che oggi l’essere umano sia già in una dimensione post-umana – riflette il professore quando gli chiediamo dell’integrazione tra uomo e macchina -. La tecnologia, cioè, fa parte strutturalmente della nostra esistenza e non è più qualcosa che usiamo solo in alcuni momenti. Credo che oggi non vada recuperata solo una prospettiva strumentale delle tecnologie, ma – essendo essa strutturale nelle nostre vite -, probabilmente dobbiamo abituarci a un dialogo non solo con la natura, con gli animali, con gli altri esseri umani, per chi crede col divino, ma anche con le macchine. Non paritetico, certamente, perché ci sono delle caratteristiche diverse, ma dobbiamo capire quanto la nostra natura sia oggi impregnata dall’aspetto tecnologico. Da questo punto di vista, dobbiamo uscire un po’ dall’opposizione che qualcuno ha definito tra transumanisti e bio conservatori (la vita naturale ha il suo perché senza nessun aspetto tecnologico contro una vita completamente invasa dalla tecnologia come vorrebbe un certo transumanismo)».

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