La storia di Neuralink: dal ruolo di Elon Musk agli insuccessi di una startup di successo

Nata nel 2016, ma spesso rimasta fuori dalle orbite dialettiche di uno dei soci-fondatori. Una storia fatta di ritardi, proteste e denunce. Prima dell'annuncio di ieri

02/12/2022 di Enzo Boldi

Si dipinge come un novello Re Mida e, valutando il suo conto in banca, questa descrizione sembra essere calzante. D’altronde Elon Musk è stato inserito in vetta alla classica classifica degli uomini più ricchi del mondo stilata ogni anno da Forbes e tutto ciò non può essere un caso. Ma è vero che tutto ciò che tocca (fonda o acquista) diventa oro? Dopo aver parlato per anni di Tesla, PayPal, SpaceX e – ora – di Twitter, l’imprenditore ha deciso di riportare in auge una delle sue aziende – di cui è co-fondatore e detiene parte delle quote – con l’annuncio del primo test sull’uomo: un impianto realizzato da Neuralink innestato nel cervello per trovare una soluzione neurologica a problemi motori. Un balzo verso il futuro che, però, fa sollevare moltissime questioni. E non solo a livello etico.

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Partiamo dalla storia di questa Neuralink Corportation. Si tratta di un’azienda statunitense, con sede a San Francisco (California), che ha mosso i suoi primi passi nel 2016, anche se la comparsa ufficiale – con marchio depositato e acquistato dai fondatori – all’interno dell’ecosistema economico americano è datata 2017. Di cosa si occupa? La mission è ampiamente dichiarata tra le pagine del sito ufficiale:

«È un team di persone di eccezionale talento. Stiamo creando il futuro delle interfacce cervello-computer: costruendo ora dispositivi che hanno il potenziale per aiutare le persone con paralisi e inventando nuove tecnologie che potrebbero espandere le nostre capacità, la nostra comunità e il nostro mondo».

Un team, dunque. Finanziato da alcuni imprenditori (molto variegati tra loro) che hanno investito svariati milioni di dollari per finanziare un progetto di ricerca con un obiettivo: realizzare dei “chip” sottocutanei, innestabili nel cervello umano – o nella corteccia cerebrale – per inviare impulsi neurologici in grado di risolvere problemi di disabilità. Insomma, dalle patologie che compromettono l’utilizzo di arti ad altri complessi sistemi legati alle funzionalità cerebrali compromesse.

Il ruolo di Elon Musk

Ed Elon Musk è uno degli imprenditori che ha deciso, fin dall’inizio, di investire sul marchio Neuralink nonostante le perplessità iniziali. Infatti, il fondatore di Tesla aveva dei dubbi sulla bontà del progetto e – almeno nel corso della fase embrionale di quella che era nata come una startup – stava pensando di rivolgersi alla concorrenza. In che senso? Acquistare delle quote di un’altra società – sempre made in USA – già presente sul mercato della ricerca di quella simbiosi tra Intelligenza Artificiale e Scienza (applicata, come in questo caso, a una branca della Medicina). Alla fine, però, l’operazione andò in porto. ma non fu un’azione in solitaria. A fondare l’azienda, una Corporation (non quotata in borsa, almeno per il momento) è stata una “cordata” di diversi imprenditori:

  • Ben Rapoport
  • Dongjin Seo
  • Max Hodak
  • Paul Merolla
  • Philip Sabes
  • Tim Gardner
  • Tim Hanson
  • Vanessa Tolosa

E poi c’è il socio Elon Musk (che non è il Ceo, ruolo ricoperto da Jared Birchall), l’uomo che ha investito più di tutti sul team di ricerca e sviluppo di questa azienda americana. Secondo i dati – gli ultimi disponibili – del luglio 2019, il fondatore di Tesla ha investito circa 100 milioni di dollari dei 158 milioni di investimenti fatti dall’azienda. Insomma, quasi due terzi del pacchetto iniziale sono stati immessi, anzi impiantati, all’interno del tessuto economico-finanziario della Corporation.

Neuralink, una storia di insuccessi e polemiche

Elon Musk, dunque, ci ha sempre creduto. Nonostante i numerosi inciampi prima dell’annuncio dei giorni scorsi. Perché l’azienda, nel corso degli anni, è stata al centro di molte controversie. La prima è di natura etica. E non solo per il rapporto tra chip, microchip e uomo. Perché, Neuralink ha ottenuto il via libera per effettuare i test sugli animali per innestare questi dispositivi digitali basati sull’intelligenza artificiale. E la Physicians Committee for Responsible Medicine (PCRM) americana ha denunciato la morte (ma anche gli abusi) di diversi animali: in particolare di 15 esemplari di scimmia utilizzati nella fase di sperimentazione. L’azienda, attraverso un post sul suo blog, ha risposto a questa accusa:

«Attualmente, tutti i nuovi dispositivi e trattamenti medici devono essere testati sugli animali prima di poter essere sperimentati eticamente sugli esseri umani. In Neuralink, siamo assolutamente impegnati a lavorare con gli animali nel modo più umano ed etico possibile».

Quindi, nessun animale ha subìto violenze? Non proprio. Perché la Corporation ha smentito gli abusi sugli esemplari utilizzati per questi test, ma ha confermato la morte di alcuni di loro in diverse fasi della sperimentazione. Dunque, il problema etico – dal punto di vista animale – era stato già sollevato in passato. E la stessa azienda ammise cha alcune scimmie (si parla di almeno 8) siano state soppresse. Ma non ha spiegato i motivi.

I ritardi e i dipendenti che vanno e vengono

Poi ci sono anche gli aspetti tecnici che hanno reso quella che sembrava essere una startup di successo un vero e proprio buco nell’acqua (in attesa di capire come andrà a finire la storia del primo test sull’uomo). Perché i tempi della ricerca si sono dilatati rispetto ai piani iniziali. Così come le strategie e le priorità. Perché Neuralink era nata come una Corporation di esperti atta a realizzare delle nanotecnologie in grado di collegare un cervello a un computer e nel corso degli anni ha modificato il proprio core business. E, come riportato da alcune testimonianze di ex dipendente raccolte dalla rivista Fortune nel gennaio scorso, non era tutto oro quel che veniva raccontato.

«In questo impero, tutti sono guidati soltanto dalla paura. C’era insoddisfazione ai piani alti per il ritmo con cui stavamo facendo progressi, anche se in realtà stavamo andando a una velocità senza precedenti».

Porte girevoli e quel numero indicato nel 2019 di 90 dipendenti che è stato continuamente aggiornato. Esperti che hanno deciso di lasciare il progetto, altri mandati via per via della lentezza. Ma erano davvero lenti? Secondo le testimonianze di chi non lavora più per e con Neuralink la risposta è “no”. Il problema era la connessione tra il mondo degli investimenti e quello della realtà. Alcuni ex-lavoratori, infatti, hanno spiegato come Musk viva tutto come un perenne business. Ma se è vero che i soldi chiamano soldi, per portare avanti una ricerca scientifica – pure legata all’intelligenza artificiale – che deve essere applicata in ambito medico occorrono tempi dilatati. Ed è anche per questo che chi fa parte del board ha provato a vendere, anche solo dialetticamente, un prodotto prima della sua realizzazione, vanificando parte delle ricerche.

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