«Per una battaglia legale contro Facebook è servita perseveranza»

Lo studio legale Spolidoro ha spiegato come si gestisce una causa come quella di Business Competence contro Facebook

13/01/2021 di Gianmichele Laino

Viaggio nella contesa Business Competence contro Facebook: tutta la storia dell’applicazione della start up italiana che è stata pedissequamente ripresa dal social network di Mark Zuckerberg. Ora, la Corte d’Appello di Milano ha deciso per un risarcimento da 3,8 milioni di euro alla start up italiana. Il nostro speciale – in tre puntate – raccoglie le voci del CEO della società, Sara Colnago, e dello studio legale che l’ha assistita in una vicenda giudiziaria che va avanti dal 2012. 

Per quanto si possa essere avvocati esperti di diritto societario e commerciale, vedere che la controparte si chiama Facebook fa sempre un certo effetto. La storia di Business Competence ha rappresentato una vera e propria sfida per lo studio legale Spolidoro: sin dal 2012 sono stati i primi a cui la start-up lombarda si è rivolta per la sua querelle con il colosso del social network. L’oggetto del contendere – lo si ricorda – era la sua app Faround, un servizio che permetteva agli utenti di Facebook di recensire esercizi commerciali, condividere esperienze e ricevere coupon di sconto. Qualche mese dopo, il social network di Zuckerberg aveva integrato sulla sua piattaforma Nearby, un’app nativa ma del tutto simile a quella sviluppata dalla start-up italiana.

LEGGI ANCHE > Il giorno in cui ho scoperto che Facebook aveva “copiato” la mia app

Business competence vs Facebook, l’iter legale

Qualche giorno fa, la vicenda giudiziaria ha avuto un altro punto di svolta, con la sentenza della Corte d’Appello di Milano che ha riconosciuto la colpevolezza di Facebook e un risarcimento danni da 3,8 milioni di euro. Si tratta, ovviamente, di un provvedimento non definitivo sul quale – proprio in questi giorni – stanno pendendo i termini per l’impugnazione della sentenza di fronte alla Cassazione.

«Affrontare una causa del genere – spiega a Giornalettismo l’avvocato Michele Imbornone – non è stato semplice. C’è voluta tanta perseveranza, tanto impegno: non ci siamo mai persi d’animo, anche quando abbiamo riscontrato un atteggiamento poco collaborativo da parte della controparte».

Perché, a quanto pare, Facebook si è dimostrato poco incline a fornire informazioni. Nella sentenza d’appello, anzi, compare proprio questa dicitura: «si rifugia dietro a inverosimili affermazioni». Quando l’autorità giudiziaria – ad esempio – aveva chiesto alcuni dati in merito alla sua applicazione, in modo tale da poterli valutare, l’azienda di Menlo Park aveva risposto che, dopo anni, non ne era più in possesso. Gli ostacoli, dunque, ci sono stati eccome.

Un ruolo importante, sin dal primo momento, è stato svolto dal consulente tecnico d’ufficio: «Sin dall’inizio – ha spiegato l’avvocato Imbornone – il CTU ha avuto accesso alla sede italiana di Facebook per avere una descrizione dell’applicazione contestata. Una seconda consulenza tecnica ha accertato la sovrapposizione dei due prodotti, stimando un danno compreso tra 1 milione di euro e 18 milioni di euro».

Business Competence

La differenza tra la sentenza di primo grado e quella d’appello

Il procedimento è stato in qualche modo diviso in due parti: la prima riguardante la presunta violazione della banca dati e la concorrenza sleale, con la diretta conseguenza della rimozione di Nearby; la seconda è quella relativa al risarcimento danni. Per quanto riguarda la prima parte, dopo il giudizio di primo grado e la sentenza d’appello, Facebook ha fatto ricorso in Cassazione. E, con ogni probabilità, il social network ricorrerà all’ultimo grado di giudizio anche per il risarcimento danni da 3,8 milioni di euro.

Un risarcimento decisamente superiore rispetto ai 350mila euro riconosciuti in primo grado dal giudice del tribunale di Milano: «Non è la seconda cifra a essere esagerata – precisa l’avvocato -, ma era la somma risarcitoria decisa dal giudice di primo grado a non essere conforme al giudizio tecnico del CTU, che sin da subito aveva trovato una via equitativa nei 3,8 milioni di euro. Il consulente tecnico, infatti, si è basato – nella sua ricostruzione – sull’applicazione di principi matematici per la stima del danno. Il giudice di primo grado, quantificando il risarcimento in 350mila euro, aveva emesso una sentenza discostante rispetto a questo parametro, non fornendo nemmeno adeguate motivazioni per spiegare questa decisione».

Alti e bassi, attraverso i corridoi della giustizia italiana. Ma la consapevolezza di giocare una battaglia fondamentale per la tutela della concorrenza e dei principi di mercato. Non importa, come ha detto l’avvocato che ha seguito Business Competence sin dall’inizio, chi ti trovavi di fronte o se la controparte si chiamava Facebook. L’importante, in questi casi, è semplicemente avere ragione.

Foto ipp/clemente marmorino

Share this article
TAGS