Il ruolo di influencer e creator nel brand washing delle aziende

Sono molti i casi in cui le società fanno investimenti commerciali alla ricerca di "personalità social" per gli adv. Queste ultime accettano quasi sempre

07/07/2023 di Redazione Giornalettismo

Ci sono aziende, anche grandi, che nel corso delle loro attività hanno commesso errori (dialettici o tecnici). Un tempo c’erano due soluzioni per andare avanti: tornare sui propri passi chiedendo scusa o proseguire dritti, senza alcun ripensamento. Oggi, al tempo dei social, questi due mantra sono stati superati dalle operazioni di brand washing: mettersi al centro di un tema di interessa pubblico per dimostrare agli utenti di avere a cuore una determinata causa. In alcune occasioni – non sempre – si tratta di uno specchietto per le allodole al fine di apparire agli occhi degli acquirenti diversi dalla vulgata comune. E per farlo, molte società si rivolgono alle agenzie di influencer marketing, “ingaggiando” creator con contratti commerciali basati sull’advertising.

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Quest’oggi, il monografico di Giornalettismo si è concentrato su due casi (non simili, ma con alcuni punti in comune) come quelli di Shein e di Mondo Convenienza. Nel primo caso erano state ingaggiate diverse creator digitali per raccontare la “vita aziendale” – provocando più critiche che complimenti per via delle denunce sulle condizioni di lavoro, copia degli altri brand e inquinamento -, nel secondo si sta parlando moltissimo di altre personalità social e televisive che hanno prestato il suo volto (e il suo canale social) all’azienda di mobili al centro (da oltre un mese) di scioperi per via del denunciato sfruttamento dei lavoratori (esternalizzati in appalto).

Brand washing, il ruolo degli influencer-creator sui social

Operazioni di brand washing. Non propriamente, ma le caratteristiche sembrano essere molto simili alle dinamiche fatte di scelte per far parlare di sé (principio alla base del marketing) in modo brillante e luminoso, mentre fuori (dai social) c’è buio e tempesta. Ed è qui che entrano in ballo gli influencer e i creator digitali che, in molte occasioni, firmano contratti commerciali con queste aziende per condurre campagne di adv attraverso i loro canali social. Ovviamente, i dettagli economici degli accordi non sono noti, ma comunque si può fare una breve ricostruzione di quel che accade quando un’azienda, un marchio importante e riconosciuto, si rivolge alle agenzie di influencer marketing per trovare il profilo più adatto per andare in quella direzione.

Molto spesso, la fee non è elevatissima e non è reale il sillogismo “grande marchio = grande guadagni“. Perché, in molte occasioni, il brand riconosciuto e riconoscibile è uno specchietto per le allodole su cui si riflette la personalità social che decide di collegare il proprio nome a quel brand per ampliare il proprio pubblico di riferimento. Una sorte di “do ut des” in chiave social, quindi con visualizzazioni e interazioni più che su un aspetto meramente economico.

Essere a conoscenza e l’etica

Il caso Shein è l’emblema di tutto ciò. Anche perché sono state scelte sei creator digitali con un seguito social relativo (per intenderci, non Chiara Ferragni o Khabi Lame), come nel più classico tentativo di rinfrescare la propria immagine con influencer emergenti. Ma anche il caso Mondo Convenienza sembra essere la sintesi del tipico approccio approssimativo con cui si firma – molto a cuor leggero – un accordo di tipo commerciale per gli adv sui social. Non si tratta di un attacco a chi ha deciso di legare il suo nome (in quanto personalità pubblica o VIP) a un determinato brand, ma di una conoscenza poco concreta di tutto ciò che sta accadendo al di fuori della patinatura della pubblicità.

Le proteste che vanno avanti da oltre un mese fuori dai magazzini di Campi Bisenzio (e che sono arrivata anche in altre città) dove i lavoratori – per servizi esternalizzati in appalto, come trasporto e montaggio – si sono mobilitati per denunciare turni massacranti e paghe imbarazzanti non sono state coperte dai media (e dalla politica) in modo adeguato e questo potrebbe aver reso difficile intuire come il proprio nome – quello da influencer o creator – potesse essere utilizzato come un tentativo per fare brand washing. Sta di fatto che nei contatti/contratti per gli adv social occorrerebbe mettere una maggiore attenzione per evitare che questo tipo di “sponsorizzazione” si riveli un enorme boomerang incontrollabile. Perché legare il proprio nome a un marchio rischia di portare a una correlazione che, in caso di complicazioni, potrebbe macchiare indelebilmente un determinato personaggio.

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