Le Big Tech e l’errata distribuzione della ricchezza a livello globale. L’intervista a Alessandro Sahebi

Alessandro Sahebi è un giornalista che si occupa di disuguaglianze sociali e ha risposto alle domande di Giornalettismo sul tema dei grandi profitti generati dalle multinazionali e sul problema della tassazione delle grandi aziende

23/02/2023 di Giordana Battisti

Alessando Sahebi è un giornalista esperto di disuguaglianze sociali e di distribuzione della ricchezza. Da tempo utilizza anche i suoi account sui social, soprattutto su Instagram, per pubblicare notizie e condividere riflessioni su questi temi. Lo abbiamo contattato per fargli delle domande sul modo in cui le Big Tech generano ricchezza senza redistribuirla nei Paesi in cui sono presenti. «Le multinazionali hanno bisogno di materie prime, di produrre e di vendere i propri prodotti in vari mercati. Il problema è che le multinazionali estraggono ricchezza in questi Paesi per poi farla finire nei “paradisi fiscali” o per investirla nuovamente all’interno dell’azienda stessa, in questo caso sono gli azionisti e i manager a guadagnarci. Da questo punto di vista le multinazionali si comportano quasi come delle forze colonialiste che non hanno identità nazionale e che danneggiano chiunque» spiega Sahebi. Dunque, il tema più rilevante anche quando si parla delle Big Tech è proprio l’errata distribuzione delle risorse e della ricchezza a livello globale: «Il problema della ricchezza è un problema politico. Ci sono poche persone che hanno grande ricchezza e dall’altro lato c’è grande povertà e le Big Tech contribuiscono all’aumento di questo squilibrio».

Amazon e altre Big Tech annunciano il taglio di centinaia di migliaia di dipendenti.
Le multinazionali fanno così: estraggono ricchezza in una nazione che poi non ridanno eludendo le tasse. Poi scappano, lasciando le macerie. Gli azionisti brindano, paghiamo noi.#Taxtherich

— Alessandro Sahebi (@alesahebi) February 15, 2023

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In che modo le Big Tech riescono a costruire la propria ricchezza?

Le Big Tech riescono a costruire la propria ricchezza perché «siamo in un sistema in cui il potere economico coincide con il potere politico. Le Big Tech detengono forte potere economico, di conseguenza hanno forte potere politico e per questo spesso sono in grado di ottenere condizioni vantaggiose dagli Stati, per esempio leggi di favore. Non si tratta di un complotto, ma di qualcosa di risaputo: pensiamo al caso di Amazon in Lussemburgo». La filiale europea di Amazon ha sede in Lussemburgo. Nel 2022 un’inchiesta di Bloomberg ha reso noto che nel 2021 Amazon ha incassato oltre 50 miliardi di euro dalle vendite tramite e-commerce in otto Paesi europei, tra cui l’Italia. Nonostante la crescita del fatturato del 17% rispetto all’anno precedente, l’attività di vendita al dettaglio di Amazon in Europa ha registrato una perdita di 1,16 miliardi di euro nel 2021: il bilancio negativo «ha consentito alla società di non pagare l’imposta sul reddito» e «di ricevere un miliardo di euro in crediti d’imposta» riporta Bloomberg.

«In secondo luogo, le Big Tech hanno la capacità di allocare le risorse a livello interazionale e quindi di fare concorrenza sleale. Le grandi aziende riescono ad assicurarsi materie prime a basso costo e lavoratori che ricevono salari molto bassi in alcuni Paesi ma anche a portare il capitale dove pagano meno tasse». In questo contesto le aziende più piccole non riescono ad affermarsi e probabilmente in futuro ci sarà «un oligopolio delle grandi aziende». La riduzione o l’assenza di concorrenza è un problema anche per il consumatore perché le poche aziende che detengono maggiore potere economico «possono imporre i prezzi che vogliono» e, inoltre, «si riduce anche la creatività umana».

Come fanno le Big Tech a non pagare le tasse e a farlo in modo legale?

L’esempio della filiale di Amazon con sede in Lussemburgo è anche una dimostrazione di come le Big Tech riescano ad aggirare il pagamento delle tasse nella maggior parte dei Paesi dove estraggono ricchezza: «Amazon riesce a portare in Lussemburgo i capitali generati in Italia e di conseguenza a pagare delle tasse agevolate. Sono molte le grandi aziende che operano in modo simile». Per esempio, la sede europea di Google si trova a Dublino, in Irlanda, dove c’è un regime fiscale vantaggioso e grazie a questo sistema Google riesce a pagare cifre molto più basse sui profitti generati nei Paesi europei compresa l’Italia.

«Sia chiaro che le grandi aziende come Amazon e Google pagano ovviamente le tasse, ma fanno quello che possono per evitare di pagare somme di denaro molto elevate». In questi casi, infatti, le grandi aziende non infrangono la legge ma con la loro condotta dimostrano di essere interessate soltanto alla propria crescita economica senza prestare attenzione all’importanza fondamentale che hanno in diversi ambiti della società: «Le Big Tech sono coerenti con l’etica capitalista basata solo sulla crescita e sul profitto. Possiamo rapportare la loro esistenza a una società basata di più sulla solidarietà e sulla cooperazione e fare delle considerazioni dal punto di vista morale. In primo luogo queste grandi aziende facendo concorrenza sleale distruggono i mercati e, inoltre, creano molti altri danni sociali perché non si interessano dell’impatto ambientale che hanno né del benessere dei lavoratori. Questi danni sociali hanno dei costi che paga la comunità».

Potremmo pensare di lanciare l’hashtag #TaxBigTech?

Sahebi utilizza spesso l’hashtag #Taxtherich quando utilizza i social per parlare di argomenti legati alle disuguaglianze sociale e alla distribuzione della ricchezza. Lo stesso hashtag si può applicare alle Big Tech? L’hashtag #TaxBigTech avrebbe lo stesso senso? Secondo Sahebi sì: «Il Tax Justice Network propone la patrimoniale come soluzione mentre negli ultimi anni è nata una grande discussione sulla cosiddetta Global Minimum Tax che prevede l’imposizione di una tassa minima concordata a livello internazionale sul reddito delle grandi società».

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