Troppo poco e troppo tardi: la virata di Spotify sulle fake news covid dopo l’affaire Neil Young

La soluzione sarebbe quella di mettere un avviso per indirizzare gli utenti che ascoltino podcast sul coronavirus a una pagina di informazioni certificate sul Covid-19

31/01/2022 di Gianmichele Laino

Toh, Spotify ha scoperto che esiste la disinformazione da Covid-19. E ha scoperto che alcuni suoi podcast – nonostante abbiano superato il primo vaglio della moderazione che ha tagliato alcuni contenuti proposti sulla piattaforma – contengono frasi e passaggi controversi, nonostante tutto. Sicuramente il caso di Neil Young è stato molto sottovalutato dai vertici della piattaforma, che hanno preferito giustificare gli investimenti fatti nel format dei podcast (alcuni di questi pagano molto di più del catalogo di artisti storici di cui pure vengono riprodotte le musiche) e, nella fattispecie, in quello di Joe Rogan (che nel 2020 firmò un sostanzioso accordo di esclusiva con Spotify per trasmettere il suo podcast molto seguito negli Stati Uniti). Ora, però, il CEO di Spotify prova a correre ai ripari: lo fa – nella nostra opinione – in maniera troppo tardiva e troppo debole. Anche perché la soluzione sembra piuttosto un placebo: un banner Spotify che possa annunciare, in corrispondenza di un contenuto sul Covid-19, potenziali rischi sulla disinformazione, con il relativo reindirizzamento a una pagina contenente informazioni verificate sulla pandemia.

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Banner Spotify contro la disinformazione da Covid-19

Daniel Ek, il CEO di Spotify appunto, ha detto che la piattaforma realizzerà a breve un data-hub sul coronavirus, con notizie aggiornate e con contenuti verificabili. Ciò significa, quindi, che la piattaforma – in corrispondenza di contenuti che parleranno della pandemia – inserirà un banner di avviso su informazioni potenzialmente da verificare. E questo banner collegherà il podcast che parla di coronavirus al data-hub dedicato di Spotify. Una soluzione che, in verità, hanno adottato tutte le piattaforme social sin dai primissimi mesi della pandemia. Quindi, questa decisione sembra già superata dagli eventi: abbiamo davvero bisogno di un altro data-hub interno a una piattaforma digitale o di una informazione più corretta e responsabile?

«Mi è diventato chiaro – ha detto il CEO di Spotify – che abbiamo l’obbligo di fare di più per fornire equilibrio e accesso a informazioni ampiamente accettate dalle comunità mediche e scientifiche che ci guidano in questo periodo senza precedenti». Il tema è: conteranno di più i 200 milioni di download di un podcast come quello di Joe Rogan (dove si invitano spesso negazionisti dell’efficacia dei vaccini e persone che parlano apertamente di complotti legati al coronavirus) o la scarsa conversione che l’ennesimo data-hub sul coronavirus interno a una piattaforma produrrà nell’audience di Spotify? Non sarebbe meglio agire all’origine?

La battaglia lanciata da Neil Young (e da Joni Mitchell, che si è accodata alla star internazionale del rock) sembra aver ridestato Spotify dal torpore. Basterà a far intraprendere una strada più decisa verso la lotta alla disinformazione?

foto IPP/imagostock applicazione app Spotify

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