Cosa, nelle policies di OpenAI, ha portato alla bocciatura di EpsteinGPT

Ci sono degli elementi che formalmente potrebbero aver giustificato il ban del chatbot realizzato da Patrick Blumenthal

10/01/2024 di Gianmichele Laino

Questo non è soltanto un articolo in cui si parla delle motivazioni che hanno portato al ban di EpsteinGPT. Questo è una sorta di tutorial per tutti quelli che, esattamente come ha fatto Patrick Blumenthal (l’autore di EpsteinGPT), hanno intenzione di utilizzare il chatbot di OpenAI per un progetto più verticale. EpsteinGPT lo era, in questo senso, perché rappresentava quasi una sorta di motore di ricerca interno rispetto alle migliaia di carte che sono state pubblicate nel sito federale del Public Access to Court Electronic Records, per dare la possibilità agli utenti di ricercare, eventualmente, nomi e circostanze specifiche nel caso Giuffre vs Maxwell, comunemente conosciuto come caso Epstein. Tuttavia, questo progetto ha avuto vita breve, dal momento che OpenAI ha deciso di bloccare immediatamente l’applicazione del suo chatbot a questa specifica fattispecie.

LEGGI ANCHE > La breve storia triste di EpsteinGPT

Ban di EpsteinGPT: cosa ha determinato la scelta di OpenAI

La scelta di OpenAI non è stata legata a motivazioni di carattere etico, ma ci sono stati sicuramente degli agganci legali previsti per chiunque abbia intenzione di utilizzare le sue API.

Nelle policies di OpenAI sull’utilizzo del brand di ChatGPT, si dice palesemente che, chiunque voglia sfruttare il modello di ChatGPT all’interno di propri progetti di sviluppo, può farlo. Anche se questa scelta non è particolarmente incoraggiata dalla società. Infatti, aggiungere la dicitura GPT a quella di un progetto “privato” può determinare una sorta di accostamento al ChatGPT originale e – per evitare utilizzi impropri – OpenAI è molto rigido con chi abbia scelto di utilizzare la stessa dicitura GPT.

Un progetto che utilizzi, nel suo nome, la sigla GPT «non può utilizzare il marchio di un’altra organizzazione nel proprio nome o logo, a meno che non sia autorizzato a farlo». Inoltre – e questo è il caso specifico in seguito al quale OpenAI ha deciso di bannare EpsteinGPT – sono «vietati nomi che fanno riferimento a personaggi pubblici, linguaggio volgare e argomenti dannosi».

Dunque, il riferimento a Jeffrey Epstein, imprenditore che può a buon diritto essere considerato un personaggio pubblico, sia per le sue attività precedenti alla condanna per abusi sessuali e traffico internazionale di minorenni, sia per il processo che ha portato, appunto, alla condanna stessa, è stato la causa scatenante del ban di EpsteinGPT. Per questo motivo, il caso specifico può fare da esempio e da linea guida per tutti coloro che decideranno, in futuro, di utilizzare i marchi di OpenAI per il loro lavoro nell’ambito di partnership, rapporto di rivenditori, rapporto di clientela, progetti di sviluppo o di consulenza, o progetti di natura editoriale. Il suggerimento che OpenAI dà è quello di denominare il chatbot basato sulle API di ChatGPT in maniera chiara, dando subito la dimensione della natura del servizio. Soprattutto, evitando di citare – nel marchio – nomi propri di personaggi famosi.

Share this article