La risposta al ban su Instagram per gli attivisti femministi e LGBTQ+ è #rEsistiamo
Abbiamo parlato con Valeria Fonte, attivista contro il revenge porn e la rape culture su Instagram, per capire perché alcuni attivisti stanno subendo un ban da parte di Instagram
11/06/2021 di Ilaria Roncone
C’è agitazione nel mondo dell’attivismo digitale che passa attraverso Instagram. Una serie di attivisti che operano in ambito femminista, LGBTQ+ e – più in generale – in quello dei diritti umani stanno subendo un ban in seguito, sembrerebbe, a una serie di segnalazioni di massa che hanno subito. Proprio a partire da qui sono nate una serie di iniziative parallele che mirano a fare luce su quanto sta accadendo e a contrastare il ban di Instagram. Abbiamo contatto Valeria Fonte, giovane donna e attivista digitale che si occupa in primis di rape culture revenge porn, facendo divulgazione per contrastare questo fenomeno vergognosamente tanto diffuso. L’iniziativa messa in piedi da Valeria prende il nome #rEsistiamo su Instagram e si basa su una tattica precisa.
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Cosa è successo e perché è nata la protesta #rEsistiamo su Instagram
«Soprattutto nell’ultimo periodo ci stanno arrivando moltissime segnalazioni, a me e ad altre persone che lavorano nell’ambito dell’attivismo. A me, nello specifico, hanno già chiuso un profilo. Quello che ho adesso è già il secondo. Queste segnalazioni che prima erano singole ora sono arrivate alla comunità, nel senso che più persone all’interno della bolla dell’attivismo ad avere delle funzionalità di Instagram bloccate». Le persone coinvolte hanno in comune il fatto di lavorare tutte nell’ambito di uno specifico attivismo con sfaccettature diverse.
Valeria ha pensato di protestare contro il ban di Instagram per gli attivisti con un’azione specifica e creando l’hashtag #rEsistiamo («unendo le parole resistiamo e esistiamo). L’invito, per chi segue gli attivisti coinvolti e – più in generale – chi fa divulgazione su Instagram a condividere e dare visibilità ai contenuti che ritengono di valore. Repost, condivisione nelle stories, commenti, elementi salvati: queste potrebbero rivelarsi tutte azioni di sostegno e tattiche efficaci per contrastare il ban di Instagram nei confronti degli attivisti. Ad essere coinvolti nel ban sono stati, nelle ultime ventiquattro ore, almeno sette attivisti (tra cui Valeria). E ognuno di loro sta vedendo il proprio profilo Instagram limitato in qualche modo. C’è Elia Bonci, per esempio, che parla di transfobia e che si è visto rimuovere alcuni repost; restrizioni hanno colpito anche Federippi, Benedetta Lo Zito e Eugenia Laura Raffaella, tutte impegnate contro il patriarcato.
L’ipotesi delle segnalazioni di massa da Telegram
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«Mi sono arrivate addirittura segnalazioni di gruppi Telegram – anche se non so quanto sia attendibile – dove degli haters stanno organizzando delle spedizioni punitive, se così vogliamo chiamarle, quindi delle segnalazioni di massa». Conferme di questa ipotesi, attualmente, non ce ne sono ma sicuramente – viste le modalità di restrizione del profilo di Valeria Fonte – rimane una possibilità. La sola conferma, come si evince anche dagli screen che l’attivista ha pubblicato sul suo profilo, è che i blocchi apposti da Instagram sono frutto delle segnalazioni di terzi. All’avviso della storia che non rispetta le linee guida della community – come visibile – segue la rimozione del contenuto. Nello specifico caso di cui stiamo parlando per “violenza e istigazione alla violenza”. Peccato solo che nella storia rimossa Valeria affrontasse una tematica delicata, ovvero come segnalare a una survivor e alle persone in generale la condivisione non consensuale di loro materiale intimo sul web.
Tra divulgazione e segnalazione c’è di mezzo il mare
Quello che sta succedendo a questi attivisti Instagram fa luce su un problema concreto, che è quello di come vengono trattate le segnalazioni su Instagram. Segnalazioni di contenuti che fanno divulgazione per contrastare fenomeni come lo stupro e la violenza ma che – dopo essere state portate all’attenzione di Instagram – vengono rimosse come se facessero esattamente il contrario (si veda, appunto, quel label di “violenza e istigazione alla violenza”).
Abbiamo contenuti appositamente creati per contrastare violenza di genere, transfobia, omofobia e simili che – dopo essere stati messi al centro di una fitta rete di segnalazioni – vengono rimossi. Un’azione che, ipoteticamente, viene effettuata da Instagram senza la supervisione umana ma che, nel caso specifico e nel caso delle altre persone coinvolte dal ban, non ha nessun tipo di senso logico. «Il punto è che se tu utilizzi una o più parole nell’ambito della violenza – racconta Valeria ai microfoni di Giornalettismo – e il contenuto viene segnalato, poi viene rimosso. Quando si dice che “non si può dire più niente” è vero, ma a non poterlo dire siamo noi. Dovremmo, in qualche modo, censurare tutte le parole. Ma diventa impossibile, considerato che la denuncia che facciamo si basa proprio su quelle parole che dobbiamo nominare per cambiare la narrazione».
(Immagine copertina dal profilo Instagram di Valeria Fonte)