Il calo ponderale degli ascolti televisivi

Da tempo, come confermano i numeri, la tv ha perso appeal nei confronti del pubblico

19/01/2024 di Enzo Boldi

La domanda da cui è partito questo monografico di approfondimento di Giornalettismo è: “La televisione tradizionale è ancora in grado di condizionare i nostri comportamenti e le nostre scelte?“. Per poter avere una risposta concreta, basata su dati consolidati, occorre prendere in esame diversi parametri. A partire dagli ascolti TV. Con il passare degli anni, il calo è stato piuttosto evidente: trasmissioni che esultano per lo share (e per aver sconfitto, in una determinata fascia oraria, un programma concorrente su un’emittente concorrente), ma che non fanno i conti con i reali numeri della fruizione. Perché questo è l’indicatore principale per capire se questo media audiovisivo sia realmente in crisi.

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Per fare un esempio tangibile di ciò di cui stiamo parlando, prendiamo in esame i numeri di due finali del Festival di Sanremo: quella del 2013 e quella del 2023. In entrambi i casi, il numero di telespettatori incollati davanti allo schermo per scoprire il vincitore delle due edizioni si è attestato sopra i 12 milioni. Dunque, sembrerebbe che nel giro di dieci anni, si sia mantenuto lo stesso livello di pubblico. Questa visione è vera, ma solo nel caso specifico. Perché se analizziamo questi dati in termini di share, a differenza è netta: nel 2013 lo share è stato del 53,8%, mentre lo scorso anno è stato del 66%. Questo vuol dire che se è vero che lo stesso numero di persone ha scelto di assistere all’ultima serata della kermesse musicale, era di gran lunga inferiore il numero di spettatori che – in quella serata – stava guardando la televisione (ed era concentrata su altri programmi).

Sempre meno utenti guardano la televisione commerciale

Questo esempio è il grimaldello che ci porta a fare una riflessione sula crisi degli ascolti TV. Un calo ormai ponderale confermato dai dati consolidati che si ritrovano anche all’interno del 18° rapporto sulla comunicazione di Censis.

Questo grafico a istogramma, in particolare quello relativo alla TV digitale terrestre, mostra l’andamento (in termini percentuali) dell’utenza complessiva media, a partire dal 2007. All’epoca, era stato registrato un 93,1% mentre nel 2022 questo dato è drasticamente crollato, fermandosi all’84%. Quasi dieci punti percentuali sono la rappresentazione classica di come la televisione tradizionale sia ormai in una crisi profonda.

Ascolti TV, il calo ponderale sintomo della crisi

L’utenza televisiva, ovviamente, va a braccetto con il calo degli ascolti TV. Prendendo l’ultimo Osservatorio sulle Comunicazioni di Agcom (che si ferma al settembre del 2023, quindi ci dà una fotografia molto più attuale), il paradigma viene tristemente confermato.

Prendendo in esame ogni singolo periodo gennaio-settembre dal 2019 a oggi, notiamo come l’unico aumento nell’indice degli ascolti televisivi si sia registrato (sia per quel che riguarda il “prime time”, sia per quel che concerne il “giorno medio”) nel 2020, con picchi tra febbraio e marzo. Ovviamente, le cause sono esterne: era l’inizio della pandemia Covid ed erano le prime fasi delle restrizioni e del lockdown. Dunque, le persone erano spinte a guardare il mezzo televisivo per informarsi, ma anche per passare del tempo non potendo uscire di casa.

Dopodiché, è stata la conferma della crisi. Tra il 2019 e il 2023 gli ascolti medi giornalieri sono cali del 10,4%, mentre sul prime time dell’11%. Una crisi che coinvolge la maggior parte degli attori televisivi e delle emittenti principali, come confermato sia dal numero di telespettatori che scelgono di guardare la TV sia – di riflesso – lo share.

Questi sono i numeri della crisi della televisione tradizionale e della sua influenza sulle scelte e i comportamenti dei cittadini. Ci sono, ovviamente, delle eccezioni che confermano questa regola, ma la situazione sembra seguire un percorso (ormai) delineato da anni.

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