Ma quindi si può intervenire per via legislativa su un algoritmo? E perché questa cosa non vale per Google e Meta?

La decisione del governo mette in discussione la metodologia utilizzata dalle compagnie aeree per la raccolta di dati personali e la conseguente contromisura. Nonostante molti interrogativi sul tema, non è avvenuta la stessa cosa per i giganti di Big Tech?

07/08/2023 di Gianmichele Laino

Attenzione, perché c’è una dichiarazione di un ministro della Repubblica che potrebbe in qualche modo sovvertire quella relazione che, fino a questo momento, aveva caratterizzato i percorsi legislativi e gli algoritmi delle principali aziende che operano all’interno dell’ecosistema digitale. La dichiarazione in questione è quella del ministro del Made in Italy, Adolfo Urso, che ha parlato in maniera esplicita dell’algoritmo utilizzato dalle principali compagnie aeree per determinare il prezzo di un biglietto come «di una pratica distorta che profila l’utente e determina un’asta dei voli». La dichiarazione, come abbiamo avuto modo di vedere nell’articolo di apertura del nostro numero monografico, segue la bozza di un decreto omnibus che considera «pratica commerciale scorretta l’utilizzo di procedure automatizzate di determinazione delle tariffe basate su attività di profilazione web dell’utente». Dunque, se ragionassimo in maniera estensiva (e un po’ meno populista), potremmo pensare che la profilazione web dell’utente per acquisire un vantaggio di natura economica potrebbe essere considerata pratica commerciale scorretta.

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Algoritmo e pratica commerciale scorretta, il precedente del governo italiano

E se continuassimo a ragionare in maniera estensiva, potremmo considerare che anche le principali aziende di Big Tech, per ottenere un vantaggio economico (soprattutto in ambito promozionale, pubblicitario e contenutistico) utilizzano delle procedure automatizzate che, spesso, sono scarsamente trasparenti. Dovremmo trarre la conclusione, quindi, che anche in questi casi parliamo di pratica commerciale scorretta? O questo, quando si tratta di grandi aziende come Meta, Google, Twitter (o – nei casi più recenti – i grandi player che utilizzano l’intelligenza artificiale, come Open AI), non diventa più automatico?

Spesso ci è stato detto che le istituzioni – non soltanto quelle italiane, ma anche quelle europee – non sono la sede più adatta per mettere un argine agli algoritmi delle principali aziende che operano nel digital. Si è parlato spesso del principio di autoregolamentazione del mercato e delle iniziative di educazione digitale che sono necessarie per rendere consapevole l’utente delle tipologie di tecnologie che quotidianamente impiega per comunicare.

Al massimo, ci si spingeva – sempre attraverso un intervento del legislatore – a individuare un quadro normativo generale all’interno del quale inserire il comportamento delle grandi aziende di Big Tech. Ci ha provato, ad esempio, il Digital Services Act, che ha limitato gli annunci pubblicitari sulla base dell’orientamento sessuale o esplicitamente rivolti ai minori, che ha imposto una maggiore trasparenza dell’algoritmo con cui le varie piattaforme social lavorano, che ha messo dei paletti rispetto a delle pratiche facilitate con cui gli utenti stessi potevano avere accesso a servizi indesiderati. Tuttavia, non c’è scritto da nessuna parte – nel DSA – che le procedure automatizzate possano rappresentare una pratica commerciale scorretta.

Il DSA non va oltre la cornice

Eppure, il DSA è considerato un unicum a livello mondiale rispetto alla limitazione delle piattaforme digitali. Ma per quanto riguarda limiti più espliciti affinché gli algoritmi determinino i contenuti che gli utenti consumano, la loro promozione, il tracciamento e la profilazione degli utenti stessi, non c’è stato ancora un intervento diretto come quello che il governo sta cercando di attuare – per mettere una pezza a un’esigenza “di pancia” come quella dell’aumento dei costi dei biglietti aerei – sulle piattaforme digitali di prenotazione che sono utilizzate dalle compagnie aeree.

La differenza tra le due situazioni è tutta nella pratica. Il costo dei biglietti aerei è un fattore che gli utenti toccano con mano in maniera diretta: prenotano, notano l’aumento del costo dettato dall’algoritmo, spendono e protestano. La profilazione sui social network, legata all’algoritmo, ha effetti nel medio periodo e non è riscontrabile immediatamente. Sarà per questo che il legislatore non la percepisce come una “pratica commerciale scorretta”? Come al solito, sembra che ci sia da scontare la solita distanza rispetto alla percezione dei problemi che riguardano il digitale.

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