I senatori USA criticano la pervasività delle piattaforme social e chiedono di agire sugli algoritmi

Controllare gli algoritmi social e la pervasività delle piattaforme nella vita reale potrebbe essere difficile anche per chi li ha creati

28/04/2021 di Ilaria Roncone

I dirigenti di Facebook, Twitter e Youtube hanno dovuto rendere conto – nella giornata di martedì – al Congresso rispetto ai modi in cui gli algoritmi social influenzano gli utenti arrivando, talvolta, a fornire informazioni errate e dannose. I legislatori Usa stanno provando ad affrontare i danni maggiori creati dalle piattaforme attraverso un’ampia serie di proposte di legge e, al centro, c’è la necessità che gli algoritmi che governano i social siano trasparenti. Oltre a questo, i senatori hanno anche sottolineato che le piattaforme social si basano su meccanismi troppo pervasivi e i CEO delle grandi aziende tech USA sono chiamati sempre più a rispondere dell’enorme influenza che quello che hanno creato in rete ha sia nella vita quotidiana dei singoli che nello sviluppo delle società.

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Perché la trasparenza degli algoritmi social è fondamentale

Gli algoritmi, in sostanza, sono quelle formule utilizzate dalle piattaforme social che decidono quali informazioni mostrare alle persone. Sia Facebook che Twitter stanno cercando di dare sempre più potere agli utenti, complici anche le continue audizioni cui i dirigenti devono sottoporti in Usa e il monitoraggio sempre più serrato. È grazie agli algoritmi e al loro funzionamento, quindi, che visualizziamo un determinato tipo di informazioni e di contenuti sulle nostre bacheche. Queste formule hanno quindi un potere enorme e, sebbene permettano di fornire esperienze tarate sul singolo user, rischiano anche di mostrare contenuti sempre più polarizzati – portando così a forme di estremismo legate a certe idee -. Un altro rischio è quello di far emergere informazioni imprecise legate, in particolare, a coronavirus e vaccini.

Come si cambiano i meccanismi delle piattaforme social?

Oltre alla modifica della sezione 230 del Communications Decency Act – quelle 26 parole che proteggono le piattaforme e impediscono che siano ritenute responsabili per i contenuti veicolati dagli utenti – è necessario concentrarsi sulla trasparenza degli algoritmi delle piattaforme per giungere a sistemi di regolamentazione più immediati. Tra le varie osservazioni mosse nei riguardi dei dirigenti delle piattaforme emerge sicuramente quella di Tristan Harris, un ex esperto di etica del design di Google e co-fondatore del Center for Humane Technology: «Il loro modello di business è quello di creare una società che è dipendente, oltraggiata, polarizzata, performativa e disinformata. Anche se possono provare a sistemare i danni peggiori la verità è che sono intrappolati in qualcosa che non possono cambiare».

Joan Donovan, direttore della ricerca dello Shorenstein Center on Media, Politics and Public Policy di Harvard, ha fatto notare che «la disinformazione su larga scala è una caratteristica, non un bug» e che le piattaforme social agiscono ripetendo e rafforzando i messaggi agli utenti che, subendo l’effetto, rischiano di «finire nella tana del coniglio» intesa come un mondo di sottocultura in Internet. Il problema è grande e di complessa gestione perché deve far coincidere gli interessi delle grandi democrazie – quindi dei cittadini – e delle aziende in massima espansione del mondo occidentale ma è fondamentale trovare la quadra.

 

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