Per Zangrillo «non abbiamo imparato a convivere abbastanza col virus»

Il primario dell'Unità Operativa di Anestesia e Rianimazione del San Raffaele Zangrillo torna a parlare non solo in tv ma anche sui giornali

20/10/2020 di Ilaria Roncone

Dopo l’intervento a Non è l’arena Zangrillo torna anche tra le pagine del Corriere della Sera con un’intervista. Mantiene comunque un atteggiamento «umile, modesto, prudente» dimostrandosi – in generale – soddisfatto dell’ultimo discorso di Conte e della situazione delle terapie intensive là dove, oggi come ieri, il Covid batte più forte. Se gli si chiede il perché di questo ritorno massiccio dei contagi di quel virus che lui aveva dato per clinicamente morto la risposta è: «Io ho sempre sostenuto, anche se ciò non ha mai fatto clamore, che con il Covid dobbiamo imparare a convivere. Evidentemente non l’abbiamo fatto abbastanza».

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Zangrillo: «Vanno fatte delle rinunce ma niente terrorismo»

Secondo Alberto Zangrillo «siamo in tempo per un’azione tempestiva. Non è una catastrofe. Dobbiamo mantenere lucidità d’azione» ma rimane contrario al «metodo della paura, ossia a spaventare i cittadini affinché reagiscano come voglio io». Non è d’accordo sui comportamenti irresponsabili dimostrati nei mesi estivi: «A maggio il virus era in ritirata, oggi è tornato a mordere, probabilmente anche per comportamenti negligenti. Ma solo di pochi. La maggior parte della popolazione è coscienziosa, giovani compresi. Lo ripeto: con il virus dobbiamo imparare a convivere».

«Mi auguro che nei giovani scatti meccanismo di protezione per genitori e nonni»

Per Zangrillo vanno protette innanzitutto le persone fragili, quelle che maggiormente tendono ad aggravarsi se si infettano. «Sono certo che con comportamenti corretti dal punto di vista qualitativo, riusciremo a risolvere anche i problemi quantitativi», dice in riferimento ai dati e ai numeri delle terapie intensive. Queste ultime sono «ancora sotto controllo perché la risposta alle terapie è migliore rispetto allo scorso marzo e aprile. L’esito è più favorevole». Sui pazienti del San Raffaele è chiaro: «Per almeno il 30% dei pazienti che arrivano in Pronto soccorso basterebbe una responsabile assistenza domiciliare».

Occorre una «diagnosi tempestiva che solo i medici di famiglia possono fare»

Occorre «prendersi la responsabilità di inviare in ospedale solo chi ne ha bisogno» e questo compito può spettare solamente ai medici di base, che devono agire in tal senso perché «oggi siamo in una fase decisiva. Ci vuole senso civico da parte di tutti. Ciascuno deve prendersi le proprie responsabilità. Altrimenti il problema diventa di proporzioni importanti». Quello che dobbiamo imparare dalla pandemia per Zangrillo è che «servono più rianimatori, infettivologi e immunologi. Non basta investire sui macchinari, bisogna farlo sul capitale umano».

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