Il caso Vinted e i dati degli utenti inseriti “a tuo rischio e pericolo”

Accedendo alla sezione "Termini e condizioni", la piattaforma dà la responsabilità agli iscritti sui dati inseriti (ma obbligatori per poter mettere annunci o acquistare qualcosa)

07/01/2024 di Redazione Giornalettismo

Vinted è la piattaforma di “Second hand” più utilizzata in Italia. Nelle scorse settimane, ha aggiornato la sua privacy policy, invitando tutti gli iscritti ad accettare i “termini e condizioni”. Peccato che proprio all’interno di questa sezione sia stata inserita una frase che, per usare un eufemismo, potremmo definire “controversa”: «Ti invitiamo a considerare quali dati personali o altre informazioni ci fornirai, poiché lo fai a tuo rischio e pericolo». E come direbbe il personaggio di Mimmo, interpreto da Carlo Verdone nell’iconico film Bianco, rosso e Verdone: “In che senso?”. Perché questa frase è contraddittoria anche rispetto al testo integrale della privacy policy della piattaforma. In quest’ultima sezione, infatti, si fa spesso riferimento al GDPR.

Vinted e la strana concezione dei dati degli utenti

Nei “Termini e condizioni”, invece, si parla di una “responsabilità” dell’utente nella scelta di quali dati inserire all’interno della piattaforma. Peccato che quei dati siano necessari per potersi iscrivere. Dunque, un enorme controsenso che – tra le altre cose – rappresenta una possibile violazione di almeno due articoli del Regolamento Europeo sulla Protezione dei dati personali. Anche perché, la storia recente di Vinted è stata condizionata da altri contenziosi con i Garanti Privacy europei, soprattutto per quel che riguarda la richiesta di caricamento dei documenti di identità per poter sbloccare i fondi all’interno della piattaforma. Questa vicenda, soprattutto per lo stile comunicativo (perché la legge dice ben altro), ricorda molto da vicino quel che sta accadendo con 23andMe, un’azienda di test genetici vittima di un data breach che ha portato alla pubblicazione dei dati del DNA di milioni di persone sul dark web. Questa azienda ha dato la colpa di quanto accaduto proprio agli utenti vittime.

E sullo sfondo c’è Meta che, in alcuni Paesi, ha introdotto una novità: la cronologia dei link su Facebook. Uno strumento che non fa altro che confermare quel che accade da oltre un decennio: la profilazione pubblicitaria attraverso l’analisi delle nostre abitudini di navigazione lungo il feed del social network.

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