La tempesta social sul tweet di Bianchetti tra chi lo difende e chi lo accusa

Un tweet sul caso della morte di Lorenzo Parelli ha ancora una volta dimostrato come l'utilizzo dei social network sia decisamente a doppio taglio

24/01/2022 di Gianmichele Laino

Il tragico episodio di una morte ingiusta, sul lavoro, di un ragazzo di 18 anni, iscritto in un istituto professionale, si è trasformato nell’ennesima occasione per misurare la temperatura ai social network e al mondo dell’informazione che – sempre più spesso – dai social network si alimenta, perdendo a volte degli elementi essenziali rispetto agli accadimenti. La morte di Lorenzo Parelli nell’ultimo giorno di stage è diventato terreno di scontro sui social network e sui giornali, facendo passare in secondo piano la questione dirimente che inchieste e commenti avrebbero dovuto affrontare: la scarsa sicurezza sul lavoro in Italia, l’eccessiva facilità con cui si parla di vittime sul lavoro, la mancanza di garanzie per i lavoratori impegnati quotidianamente in una sorta di lotta per la sopravvivenza.

Ed è così che il tweet di un cittadino, che non riveste incarichi pubblici, la cui opinione conta esattamente come quella di tutti gli altri cittadini italiani (con la differenza che lui, su Twitter, aveva una piccola platea di 8mila followers) è diventato il fulcro di una polemica che, da un lato, ci ricorda come l’utilizzo dei social network sia sempre scivoloso e, dall’altro, ci sottrae tempi e spazi per parlare del reale problema, ovvero della morte di un diciottenne sul suo posto di lavoro.

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Le polemiche per il tweet Bianchetti sulla morte del 18enne Lorenzo Parelli

Il tweet in questione, poi rimosso, è questo:

tweet Bianchetti

Arriva in risposta al rettore dell’Università di Siena Tomaso Montanari che si era scagliato contro l’alternanza scuola-lavoro, ritenendola come uno dei problemi che hanno portato alla morte del giovane Lorenzo Parelli. L’autore si è successivamente scusato per il tweet e per l’interpretazione che del tweet era stata fatta da quello che, indistintamente, chiamiamo “popolo del web”. Le sue parole, riprese da influencer di Twitter, avevano avuto un’ampia diffusione, molto più ampia di quello che avrebbero meritato. Il tema è che questo tweet è diventato anche il fulcro della rubrica “Pietre” di Paolo Berizzi su Repubblica. All’interno della sua breve rubrica, il giornalista fa il nome dell’autore del tweet e ne scrive anche un curriculum sintetico.

È bastato questo per aggiungere un nuovo elemento alla discussione e per creare ulteriore divisione all’interno dell’opinione pubblica che frequenta Twitter: l’autore del tweet è stato descritto come una vittima, sulla quale si era scatenata una gogna social fatta partire da una pagina di uno dei più importanti quotidiani nazionali.

In realtà, la vittima di tutta questa vicenda è soltanto una: il giovane Lorenzo Parelli, la cui vicenda incarna perfettamente il clima di superficialità dannosa che circonda il mondo del lavoro in Italia. Una morte del genere non può essere divisiva. Dovrebbe essere, una volta tanto, l’elemento che unisce tutti davanti a una verità tanto scontata quanto inapplicata: non si può morire di lavoro, in nessuna delle sue forme. La discussione su qualsiasi altro binario è rumore di fondo.

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