Trump denuncia Facebook, Twitter e Google per avergli limitato la libertà d’espressione

Sulla base del primo emendamento, che garantisce la libertà d'espressione, l'ex presidente degli USA Trump fa causa alle grandi aziende Facebook, Twitter e Google, che gli hanno privato l'utilizzo dei suoi account

08/07/2021 di Giorgia Giangrande

Per Trump le aziende Facebook, Twitter e Google hanno attuato una censura politica. Per questo denuncia quanto accaduto e minaccia una class action, ovvero un’azione collettiva legale, nei confronti delle aziende e dei loro rispettivi amministratori delegati Mark Zuckerberg, Jack Dorsey e Sundar Pichai.

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L’accusa di Donald Trump e le limitazioni delle aziende

Secondo Trump i tre grandi hanno applicato nei suoi confronti una censura che è illegale e incostituzionale. In seguito ai fatti dello scorso 6 gennaio, ovvero quando i sostenitori di Trump assalirono il Campidoglio di Washington, le tre aziende avevano limitato all’ormai ex vice presidente degli Stati Uniti d’America di utilizzare i suoi account.

Più precisamente, Twitter lo aveva bandito permanentemente per il ruolo avuto nel fomentare la folla all’assalto; Facebook è stato invece leggermente più flessibile e lo ha bandito dal social per almeno due anni, con l’eventualità di essere riammesso nel 2023, se il rischio per la sicurezza pubblica sarà considerato ridotto.

Google, invece, ha bloccato Trump su YouTube, congelando il suo account dopo i fatti del 6 gennaio a Capitol Hill, ma senza rimuovere il suo profilo, dove ancora i contenuti sono visionabili.

La minaccia legale è essa stessa propaganda?

Gli avvocati di Trump chiedono che il Tribunale si muova affinché venga ripristinato al loro assistito l’utilizzo dei social media, che hanno un ruolo determinante a fini propagandistici, anche e soprattutto in previsione delle prossime elezioni.

L’azione legale ha quindi una fisionomia politica oppure rappresenta essa stessa un pretesto per dare inizio alla campagna elettorale dell’ex presidente,  incrementando l’empowerment del partito repubblicano in vista del 2024.

A testimonianza di ciò, il fatto che la rimozione da Facebook viene citata come un ostacolo oggettivo all’attività politica. Perché la piattaforma di Zuckerberg è di norma un’occasione per organizzare raccolte fondi e per gettare le basi per una potenziale campagna. E questo vale sia per Trump che per il sindaco di paese.

L’appello al Primo Emendamento

La class action è motivata dal fatto che queste restrizioni non soltanto limitano il range di possibilità per Trump di vincere le elezioni, ma – come ha sostenuto il politico durante la conferenza stampa svoltasi mercoledì – vi è in gioco anche la libertà d’espressione e, per questo, il suo discorso è stato volontariamente articolato intorno ad un mancato rispetto del Primo Emendamento.

Tuttavia, ciò che l’ex presidente ha omesso di dire è che Facebook, Twitter e Google sono aziende private e come tali non sottoposte a limitazioni costituzionali, anzi, al contrario, sono obbligate ad applicare i termini di servizio ai fini di limitare l’odio nelle proprie piattaforme.

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