Le tigri di Arkan: a braccia alzate dai genocidi agli stadi
13/10/2010 di Redazione
In una settimana la Serbia si è fatta spazio nelle prime pagine dei giornali per episodi di violenza e intolleranza. Qui l’estrema destra, è determinata a farsi sentire come è successo per le strade del Gay Pride e poi sugli spalti di Genova.
Le immagini della partita Italia-Serbia di ieri sera hanno fatto il giro del mondo come era facile prevedere. Hooligans interrompono la partita, lanci di fumogeni, intimidazioni al portiere Vladimir Stojkovic, tafferugli con le forze dell’ordine. Niente di nuovo apparentemente. L’aspetto più preoccupante è la natura della tifoseria serba che ieri si è resa responsabile di un attacco allo sport, alle cose e alle persone. Intanto è fondamentale effettuare una distizione tra tifoso serbo e tifoso della Stella Rossa Belgrado, formazione calcistica della capitale Serba. Dal 1990, la curva è stata il vivaio delle Tigri di Arkan, reclutate dall’omonimo nazionalista Serbo accusato di tortura, omicidio e traffico di armi. Una fede calcistica quindi che sfocia nella militanza politica. L’appartenenza dei facinorosi di ieri sera a questa squadra è testimoniata anche dal fatto che ad essere preso di mira è stato Stojkovic, il portiere serbo ex Stella Rossa accusato di tradimento per il suo passaggio al Partizan Belgrado. Prandelli infatti, citato da tutti i giornali internazionali che si sono interessati alla vicenda, ha parlato esplicitamente di una squadra terrorizzata.
LA STORIA DELLE TIGRI – Željko Ražnatović meglio conosciuto come Arkan è stato un militare serbo, leader paramilitare, autore di numerosi crimini di guerra commessi durante la guerra in Jugoslavia negli anni novanta. Fu uno dei maggiori ricercati dall’Interpol negli anni ’80-’90 per crimini e omicidi commessi in numerosi paesi europei. Successivamente fu incriminato dall’ONU per crimini contro l’umanità, includendo ruoli principali in genocidi e atti di pulizia etnica. Proprio sugli spalti del Marakana si forma l’Arkan nazionalista: unisce le diverse fazioni in cui sono divisi gli ultrà in nome di Slobodan Milosevic e in dono dalla dirigenza della squadra riceve una pasticceria, che diviene il “covo” dei suoi uomini. Quando inizia la guerra con la Croazia, i vertici jugoslavi pensano a lui per organizzare le milizie di volontari. Volontari che Raznatovic non fatica a reclutare, attingendo tra i tifosi del Marakana e nelle carceri belgradesi, imbottite di criminali comuni in cerca di avventura. A partire da quell’anno Arkan gestisce il Centro per la Formazione Militare del Ministero per gli Affari Interni serbo. Arkan recluta tra i seguaci del F.C. Stella Rossa Belgrado un’unità di volontari forte di circa 3000 uomini con il nome ufficiale di Guardia Volontaria Serba successivamente modificato in Tigri, che a partire dall’autunno 1991 ha operato come unità paramilitare lungo la frontiera serbo-croata. Si dice che il nome Tigri sia stato voluto da Arkan quando questi entrò in possesso di un piccolo tigrotto che sosteneva aver rubato dallo zoo di Zagabria anche se più probabilmente proveniva dallo zoo di Belgrado. Impossibile fare un elenco preciso delle centinaia di migliaia di persone che le Tigri hanno barbaramente massacrato a partire dal 1992: l’unità “Tigre” era solita attaccare con l’artiglieria un paese, di norma musulmano o croato, quindi vi entrava installandovi il terrore, uccidendo arbitrariamente civili, commettendo stupri, saccheggiando e distruggendo proprietà private e monumenti, installando campi di concentramento. Secondo un documento interno dell’esercito Popolare Jugoslavo, il motivo principale per la lotta di Arkan non era tanto la lotta al nemico, quanto l’appropriazione di proprietà private e la tortura dei cittadini.
L’AMICO DI MIHAJLOVIC – Ma ad Arkan piaceva soprattutto il calcio e nel 1998 la squadra di cui era presidente, il FK Obilic di Belgrado, partecipò alla Champions League e sia Dejan Savićević che Siniša Mihajlović di certo ricorderanno quella giornata del dicembre 1991 quando, reduci dalla vittoria nella Coppa Intercontinentale a Tokyo, ad accogliere i giocatori della Stella Rossa, la loro squadra di allora, all’aeroporto di Belgrado trovano l’ “amico” Raznatovic. Ora, senza andare troppo lontano, la mente vola al lontano 2000, anno in cui Željko Ražnatović fu assassinato nell’Hotel Intercontinental di Belgrado. In quell’occasione, in curva della Lazio si materializzò uno striscione con su scritto “Onore alla Tigre Arkan” in solidarietà a Sinisa Mihajlovic che di Ražnatović era grande amico. Che la delicatezza e raffinatezza di pensiero non fossero le doti principali dell’allenatore della Fiorentina (habitué di insulti razzisti e di uscite xenofobe da brividi) non è mai stato un segreto. Ma ora che nessuno guardi i tifosi serbi dall’alto in basso come se le curve italiane fossero collettivi pacifici e apolitici.
QUEL SALUTO A TRE DITA – In un trambusto del genere è accaduto che, per la prima volta, i tifosi italiani passassero per le pecorelle smarrite e innocenti. “Vergogna”, “Che schifo!”, che atteggiamenti anti-sportivi. Il mondo del calcio e della politica si sperticheranno in condanne e paternali: la nazionale dovrebbe essere un momento di unione e non di diatribe tra club, quello non ha niente a che vedere con i buoni valori del calcio, la politica deve restare fuori dagli stadi, l’apologia dei regimi sanguinari non può essere tollerata. E poi, il mostro sbattuto in prima pagina: il tifoso serbo in passamontagna, enorme, tutto vestito di nero e sul braccio un tatuaggio che riporta la data di un bagno di sangue. Per non parlare di quei festeggiamenti a fine partita a braccia alzate, impegnati in quello che sembrava un saluto romano.”Che schifo!
(Ha collaborato Teresa Scherillo)