La start-up italiana che si è trovata esposta dopo la chiusura di SVB
Technoprobe è una delle realtà d'eccellenza del panorama italiano. Oggi, ha comunicato di essere tornata nuovamente ad avere la piena disponibilità dei fondi depositati presso la SVB
15/03/2023 di Gianmichele Laino
Al momento, al di là delle possibili discussioni legate al futuro delle start-up del mondo del digitale, è opportuno prendere in considerazione l’effetto singolo e concreto che, dalla crisi di SVB, è arrivato direttamente in Italia. Anche tra le aziende italiane del tech, infatti, c’è chi aveva un conto corrente nella banca della Silicon Valley. Stiamo parlando di un vero e proprio unicorno italiano, Technoprobe, azienda leader mondiale nella produzione di Probe Card, ovvero di quei dispositivi che vengono utilizzati per testare il funzionamento dei chip prima del loro posizionamento all’interno di un dispositivo elettronico. Una realtà solida, che ha ritenuto opportuno – in passato – utilizzare i servizi della 16ma banca americana. In base a quello che ci risulta, il 2,5% della sua liquidità (dato riferito al 31 dicembre 2022) si trovava nel conto corrente della banca della Silicon Valley.
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Technoprobe e la risoluzione dell’esposizione dopo la crisi della SVB
L’azienda, quotata in borsa attraverso l’Euronext Growth Milan – il mercato che offre un accesso semplificato alla quotazione per le piccole e medie imprese particolarmente attive e in cerca di capitali – ha tranquillizzato gli investitori, sottolineando in un comunicato ufficiale di non avere altre linee di credito all’interno di SVB e di continuare a monitorare la situazione attraverso i suoi consulenti, in modo tale da tutelare i propri interessi.
E nella giornata di oggi, sempre per mantenere fede alla chiarezza della comunicazione che ha caratterizzato l’attività dell’azienda sin dal primo momento in cui si è presa coscienza della crisi della Silicon Valley Bank, ha comunicato ai propri investitori di essere tornata in possesso dei fondi che erano stati depositati presso il 16mo istituto bancario americano. Una notizia che dovrebbe allontanare le inevitabili speculazioni che, in queste ultime ore, hanno esposto i titoli in borsa. La notizia di quanto accaduto all’istituto di credito americano era arrivata all’azienda esattamente nelle stesse modalità con cui era stata comunicata dalle autorità federali degli Stati Uniti, senza particolari avvisaglie nei giorni immediatamente precedenti all’improvvisa crisi di liquidità che ha determinato la chiusura di SVB.
Cosa cercavano le start-up nella SVP
Ma perché una start-up, in generale, ha avuto bisogno di rivolgersi a SVB? Gran parte delle start-up hanno un problema, negli Stati Uniti, ma anche nel nostro Paese: i founder sono spesso alle prime esperienze e la scelta di un istituto bancario a cui rivolgersi, molto spesso, viene fatta con leggerezza. Ma – al di là di questa considerazione generale e che non riguarda in nessun modo il caso specifico – c’è da dire che la Silicon Valley Bank, prima della sua crisi, aveva una solidità invidiabile. Questo aspetto, unito al fatto che la realtà fosse particolarmente sensibile alle realtà che operano nel settore del digitale, ha sicuramente esercitato un potere attrattivo nei confronti dei founders. Founders che, tra l’altro, avevano presso la SVB anche i propri conti personali e non soltanto quelli delle loro start-up.