Studio sul Covid, il 15% dei casi gravi legato ai geni

Uno studio del Consorzio internazionale di genetica, pubblicato sulla rivista Science, cerca di approfondire il legame tra il virus e la genetica

26/09/2020 di Redazione

Un nuovo studio sul Covid del Consorzio internazionale di genetica Covidhge con la partecipazione del laboratorio di Genetica Medica dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata prova a spiegare perché l’infezione da virus per qualcuno è senza senza sintomi mentre altri rischiano la vita. Una differenza che starebbe nella genetica, almeno per quanto riguarda il 15 per cento dei casi gravi.

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Lo studio sul Covid e la genetica pubblicato dalla rivista Science

Lo studio sul Covid del consorzio Covidhge, pubblicato dalla rivista Science, sostiene che le cause genetiche e immunologiche spiegano il 15% delle forme gravi del virus. Prendendo in considerazione infatti oltre 700 pazienti con manifestazioni cliniche gravi, lo studio mostrerebbe infatti che hanno in comune un difetto nella produzione delle proteine che aiutano a regolare l’attività del sistema immunitario con funzioni antivirali. Secondo il direttore del laboratorio di Genetica medica di Tor Vergata, Giuseppe Novelli, “i geni attivi nei meccanismi di difesa quando mutati sembrano favorire la gravità della malattia”. E lo studio, secondo il suo co-autore, “dimostra che i nostri geni possono influenzare il modo in cui il sistema immunitario risponde a un’infezione”, e aiuta a chiarire “perché alcune persone presentano sintomi più gravi della malattia” e a indirizzare “un sottogruppo di pazienti verso una terapia mirata”.

Gli articoli dello studio sul Covid

Il primo articolo dello studio sul Covid pubblicato su Science riunisce le mutazioni riscontrate nei pazienti con forme gravi del coronavirus in 13 geni della famiglia degli interferoni, già noti per essere coinvolti nella suscettibilità genetica all’influenza. Non conta quindi l’età del soggetto quanto questo tipo di mutazioni, che rendono chi le ha maggiormente a rischio di sviluppare forme gravi di influenza o Covid. Una scoperta che, secondo Novelli, “ha immediate ripercussioni sulla terapia” che in questo caso dovrebbe prevedere l’impiego di interferone di tipo 1 in questi pazienti e può costituire un valido percorso terapeutico. Nella seconda parte dello studio invece i ricercatori hanno rivelato la presenza di elevati livelli di auto-anticorpi, ovvero anticorpi che colpiscono molecole proprie dell’organismo tipici delle malattie autoimmuni, che sono in grado di neutralizzare l’effetto antivirale dell’interferone e che sono assenti nella popolazione in generale ma sono presenti in più del 10% dei pazienti con una grave polmonite da Covid.

 

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