«Abbiamo attraversato 5 anni positivi per l’industria del cinema senza però cambiarla»

Lo sceneggiatore e regista Stefano Sardo, ex Presidente dell'associazione 100 autori, ci ha aiutato a tracciare un quadro delle problematiche che il mondo della produzione sta affrontando in questo periodo di incertezza

13/08/2024 di Gianmichele Laino

Il 29 luglio sono emerse le prime indicazioni su quella che può essere considerata una nuova “riforma” del cinema italiano. Il decreto che è nato in seno al Ministero della Cultura (Mic) e al Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef) è un documento corposo, complesso in alcuni suoi passaggi e formulazioni, che – a quanto pare – complica ancor di più il quadro attuale delle produzioni indipendenti in Italia. L’incertezza sul Tax Credit, infatti, aveva avuto come conseguenza una decisa contrazione delle produzioni nel primo trimestre del 2024 (e la seconda parte dell’anno non si annuncia per nulla migliore). Abbiamo provato a tracciare un quadro della situazione grazie al contributo di una voce esperta e sensibile a queste tematiche: Stefano Sardo, sceneggiatore e regista di alcune delle produzioni italiane di maggior successo (Tatanka, Il divin Codino, Il ragazzo invisibile, la serie 1992, 1993, 1994 I leoni di Sicilia), oltre che ex presidente dei 100 autori, il collettivo dell’autorialità cinetelevisiva.

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Le parole di Stefano Sardo sulla situazione delle produzioni cinematografiche italiane

«Quello che mi è parso di capire dal decreto legge che è in fase di discussione è che autori e piccoli produttori sono terribilmente scontenti di questo provvedimento – spiega Stefano Sardo -, mentre, a sensazione, direi che APA e ANICA non siano poi così distanti dai suoi contenuti. In base alla mia opinione, questo Tax credit ruba ai poveri per dare ai ricchi: si riserva di garantire un finanziamento a quelle opere che hanno già il 40% dei costi coperto, dunque ai soggetti più forti. Ma invece di pensare a come far produrre meglio i film, si è pensato a far passare l’idea che il prodotto buono sia soltanto quello delle grandi società di produzione. Poi ci sono altre storture. Per esempio, hanno voluto calmierare il cosiddetto “sopra la linea”: il vecchio Tax credit incideva molto sui compensi dei talent più onerosi. Questo fatto ha avuto come effetto che solo la paga base verrà tutelata dal Tax credit, tutto il resto sarebbe fuori. Si rischia di tagliare metà o più della produzione, se non due terzi. È un colpo durissimo che è anche ideologicamente molto discutibile, proprio perché va contro il sistema degli aiuti di Stato che invece è stato formulato a livello comunitario».

In quest’ultimo periodo, il mondo del cinema ha sicuramente vissuto un momento positivo. Ma l’effetto boomerang legato alla gestione di questo momento è dietro l’angolo. Si è pensato molto a spendere e a produrre e poco a rinnovare l’ecosistema per renderlo più efficiente: «Abbiamo usato cinque anni di momento d’oro – ha detto Sardo – per produrre film che non hanno cambiato il cinema: non abbiamo costruito le basi per processi più virtuosi, né abbiamo impedito a film non pronti di andare sul set. Non è che perché ci sono più soldi i film diventano automaticamente più belli».

In più c’è il tema dell’intervento delle grandi piattaforme OTT: «Le grandi piattaforme, quando sono arrivate, hanno immesso nel sistema qualcosa che l’Italia non aveva mai conosciuto, ovvero la concorrenza. Sky, Netflix, Prime, Disney hanno fatto muovere il sistema, hanno individuato nuove fette di pubblico e nuovi registri. Paramount però ora ha smesso di produrre, Disney ha contratto, così come Sky: c’è una fase di risacca. L’approccio avuto dalle piattaforme è stato abbastanza coloniale, dall’altro lato si sono instaurati processi invasivi: la serialità è stata per anni una palestra di libertà espressiva. Quando le piattaforme hanno emulato questa libertà espressiva si è creato un effetto boomerang e una corsa alla ipertrofizzazione delle serie. Ma questa cosa è stata abbastanza problematica perché le serie si sono trasformate in una grande ingerenza del packaging, cercando il successo subito. Quando questo meccanismo è arrivato in Italia, si è diffusa l’idea che il nostro Paese doveva essere in qualche modo commissariata, perché non aveva esperienza. Da noi non è rimasto un lascito virtuoso rispetto a questo processo. Io sento che siamo in un momento di grande difficoltà, perché quel tempo è passato: oggi non sappiamo dove andare e non ci sono più risorse per fare esperimenti, ma solo per andare a botta sicura. Ma nessuno, oggi, sa cosa vuole il pubblico e questo non lo sa nemmeno Netflix».

Il mondo del cinema e il ciclone intelligenza artificiale

A complicare il quadro della situazione, arriverà l’effetto dell’impiego delle tecnologie AI nelle produzioni. Altrove, attori, sceneggiatori, registi e altre figure del mondo del cinema sono riusciti a coalizzarsi e a trovare una quadra per definire delle linee di principio volte a disciplinare quantomeno un utilizzo etico dell’AI. In Italia, però, si rischia di lasciarsi trovare impreparati.

«Nel nostro Paese – conclude Sardo – c’è consapevolezza del problema dell’AI nel mondo della sceneggiatura. Non sappiamo se da qui a 5 anni si faranno film dello stesso livello di quelli che sono stati fatti nei cento anni di storia del cinema. In teoria, ci sono figure che, grazie all’intelligenza artificiale, vorrebbero far fuori gli sceneggiatori: ma la verità è che nel momento in cui l’idea non racconta più il punto di vista di un essere umano, ma aggregherà soltanto una serie di punti di vista già utilizzati, l’interesse del pubblico verrà meno. Ognuno potrà fare il proprio film, magari questo film potrà anche diventare un meme, ma non esisterà più un catalogo di qualità. Certo, ci sono delle applicazioni dell’AI che sono utilissime e che abbattono i costi, ma non si può abbattere tutto in maniera indiscriminata. Non so come questo processo si possa governare a livello legislativo, ma ho paura che sia un po’ come svuotare la barca con un bicchiere. Credo però che valga la pena provarci, perché penso agli attori che sono costretti a firmare liberatorie per essere utilizzati nell’AI, a sceneggiatori depredati delle loro idee, a intere categorie di lavoro che possono saltare. Se ne parla, ma in Italia non abbiamo dato risposte strutturali: siamo sparpagliati politicamente e non abbiamo una consapevolezza sindacale che ci rende capaci di fare grandi battaglie».

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