Timeless: recensione episodio 2×05: “The Kennedy Curse”
19/04/2018 di Redazione
Timeless continua, in questa stagione, a proporci interessanti varianti esterne alla tematica dei viaggi nel tempo e gioca spesso con le emozioni degli spettatori. L’unico problema è che senza una conferma per una terza stagione, la troppa carne al fuoco rischia di restare scotta.
La puntata andata in onda negli USA domenica, è secondo me uno di quegli episodi che si possono usare come manifesto di questa seconda stagione di Timeless. Come detto nella premessa, la difficoltà più grossa sarà portare a compimento in soli 5 episodi, tutta la caterva di rami narrativi che sono stati abbozzati o sviluppati in minima parte e che difficilmente troveranno compimento in poco meno 200 minuti restanti.
Ma parliamo innanzitutto dell’episodio. JFK, il presidente da sempre considerato fra i più amati dal popolo americano, è ovviamente una minaccia per Rittenhouse che prova a farlo fuori nel 1934, quando il futuro presidente frequentava il college.
Garcia Flynn è stato poco presente nell’episodio ma il finale di puntata è tutto suo. Resta a far fuori gli inviati di Rittenhouse nel 1934 e Kennedy viene portato nel 2018 in attesa che Flynn faccia il lavoro sporco.
La cosa più interessante è che si è trattato di un episodio molto corale. Tutti, chi più chi meno ha dato il contributo alla costruzione della storia, ma il centro nevralgico di tutto, levate le vicissitudini di Kennedy, è stato sicuramente il triangolo fra Jessica, Wyatt e Lucy.
Messi insieme dalle circostanze, i tre se la sono cavata molto bene, ma era chiaro che Jessica presto o tardi avrebbe intuito che fra Wyatt e Lucy il rapporto non era soltanto professionale. Eppure la chimica fra Lucy e Jessica funziona alla grande. Prendono il tè insieme e chiacchierano come vecchie amiche. Vengono da realtà diverse, hanno vissuto drammi differenti ma il fatto di amare lo stesso uomo, ha creato quasi una solidarietà inaspettata.
Quando Jessica si rende conto che Lucy ama Wyatt si dimostra abbastanza matura ed intelligente da capire che il suo uomo ha deciso di ricominciare a vivere perché la credeva morta. Anche la scelta di lasciare che la storia fra Lucy e Wyatt continui è una scelta matura e consapevole e per nulla scontata.
Ma qui entra in scena il carattere di Lucy, la forza d’animo di una donna che ha dentro un profondo senso di giustizia anche quando va contro i suoi sentimenti più profondi. Forse un’altra donna avrebbe agito diversamente, avrebbe dato retta all’egoismo di sentirsi di nuovo amata, di provare l’emozione di essere importante per qualcuno.
Lucy è onesta da far schifo, ammettiamolo, ma è per questo che io adoro il suo personaggio. Con la morte nel cuore non fa altro che raccontare a Jessica quanto Wyatt abbia fatto in quei mesi per salvarla, ritrovarla, abbracciarla e che solo dopo aver tentato tutto quello che poteva, si era arreso all’idea che lei fosse morta.
Alla fine è lei a fare un passo indietro davanti a una storia d’amore solo interrotta dagli eventi tragici e il senso di abbandono e il rumore del cuore sgretolato di Lucy l’ho sentito forte e chiaro. Non un esplosione ma un tonfo lieve e discreto, come si addice a Lucy, capace di grandi emozioni e grandi scelte che poi lentamente assorbe dentro di sè.
Timeless dunque, resta fedele allo schema fantascientifico, ma utilizza le tematiche della puntata per esplorare più in profondità le interazioni fra i protagonisti. Un altro tema interessante è stato quello di Carol, la madre di Lucy. Quanto valgono gli interessi di Rittenhouse rispetto alla vita di una figlia ribelle (ai suoi occhi)? Probabilmente non ci sarebbe nessun confronto da fare.
Carol prova ad essere un membro prefetto della macchina occulta di Rittenhouse. Lo fa con dedizione e arriva a un pelo dall’uccidere Lucy, ma quando giunge al culmine, quando gli basta davvero dare una piccola spinta per risolvere i problemi della sua setta, ecco che in lei scatta una specie di allarme. Suonano le campane di quello che si può definire “Core de Mamma”, una vocina interiore che gli dice gentilmente e soavemente: “Che c***o stai facendo? quella è tua figlia, sangue del tuo sangue, partorita con amore e cresciuta con affetto”.
Quello che resta è la figura di una donna costretta ogni volta a scelte difficili, divisa fra senso del dovere e amore materno. Probabilmente arriverà il momento in cui sarà costretta al sacrificio estremo per Lucy, per difendere quella testarda ribellione della figlia ai dettami di Rittenhouse. Attorno a lei nessuno può capire come si sente, cosa si prova davvero. Da qui il rapimento di Denise, l’unica davvero capace di capirla in quanto madre come lei. Lucy va protetta perché lei è consapevole di non poterlo più fare e allora si rivolge a Denise non nel suo ruolo di agente FBI, ma come madre e gli chiede di tenere Lucy lontano dalle missioni.
Le scene finali hanno riportato Garcia al centro della storia, e devo dire la verità, quello che ho visto mi è piaciuto. Tutto sommato, Garcia Flynn è forse l’uomo che per assurdo conosce meglio l’animo di Lucy. Ha letto il suo diario, ha visto la sua determinazione, la sua grande tenacia, il suo forte senso di giustizia. Sono stati divisi nella prima stagione ma Garcia ha sempre ammirato Lucy.
Ecco che l’unica persona capace di comprendere davvero la profondità della malinconia di Lucy è proprio lui. Prende due birre, le stappa, si siede al suo fianco e gliela offre. A volte l’infelicità condivisa fa meno male e loro sono due anime solitarie che hanno sofferto silenziosamente e che possono consolarsi a vicenda.
Passo e chiudo.
Share this article