The Happy Prince: L’ultimo ritratto di Oscar Wilde, Rupert Everett felice regista e protagonista

15/04/2018 di Redazione

The Happy Prince, L’ultimo ritratto di Oscar Wilde, debutto alla regia per Ruper Everett che porta sullo schermo gli ultimi tormentati anni del drammaturgo, in un solido film, per certi versi autobiografico.

The Happy Prince – L’ultimo ritratto di Oscar Wilde, è la prima regia dell’attore inglese che ama il nostro paese , parla e comprende l’italiano, forse proprio per questo dopo quasi 10 anni che inseguiva il suo progetto ha trovato l’aiuto nella lungimirante Palomar di Carlo Degli Esposti e in tante maestranze nostrane.

Venendo invece alla pellicola, probabilmente, anche se già in passato l’attore si era confrontato con Oscar Wilde in altre pellicole precedenti, è riuscito ad evitare la solita immagine che riceviamo ogni giorno dai suoi aforismi, e a donarci un personaggio umano, con tutte le sue debolezze, i suoi errori , i suoi rimpianti, e la sua fine. Le scelte registiche di Everett, come dichiarato da lui stesso sono non solo estetiche ma seguono attentamente la nostra cinematografia, per Rupert un maestro come Visconti è stata un guida ma anche Zeffirelli, e non ultimo lo stile dei fratelli Dardenne che seguono con la macchina da presa il protagonista, catturando ogni instante della sua vita, anche i momenti peggiori. La storia degli ultimi anni di vita di Oscar Wilde ci parla della sua caduta, dopo essere stato condannato a due anni di lavori forzati, abbandonato dal suo pubblico, dai benpensanti dalla regina Vittoria, si rifugia nel nord della Francia dove cerca di mantenersi con i soldi ricevuti dai suoi sostenitori. Il dandy adorato da tutti, lo ritroviamo con vari passaggi di flashback, ridotto alla fame in uno squallido appartamento parigino pieno di scarafaggi, ridotto a chiedere l’elemosina. La storia lo vede all’inizio del suo esilio circondato dai pochi amici, l’adorato Bosie, causa del quale è finito in galera per omossualità a causa della vendetta del padre di questo, Lord Douglas. Troviamo poi i rimpianti della sua vita  la moglie Constance (Emily Watson) che gli nega di vedere i suoi figli, forse ancora innamorata ma che non può perdonare i suo eccessi. Robbie Ross l’amico di sempre, il giornalista e scrittore Reggie Turner(Colin Firth).

Ma la scelta di tutta la pellicola è di evitare i soliti aforismi ed eccessi, con la scelta di portarci una figura reale, un uomo capace, responsabile dei suo fallimenti, in un percorso quasi cristologico. Le scelte registiche e artistiche dell’attore inglese, anche  nella sua interpretazione non possono non farci pensar in un certo senso quasi ad un opera autobiografica, un’attore di grande successo che poi piano piano è sparito dal jet set, complice la fine della bellezza, io suo outing  e la difficoltà, come testimonia lo stesso progetto, di portare sullo schermo questo Oscar Wilde per il quale ha impiegato oltre  10 anni per reperire i fondi.

Curiosamente il film, ha ricevuto contrasti pareri dalla critica, quasi non si voglia vedere l’anima della pellicola e si guardi solo la superficie , citando fotografia o recitazione magari troppo carica, o lui ingrassato appositamente. Davvero curioso per chi vi scrive notare, dopo il film e nell’incontro con l’attore come questi pregiudizi siano rimasti quasi che Rupert Everett  si sia trasformato suo malgrado in un novello Oscar Wilde. Se il mio giudizio sul film , tenendo conto che parliamo di un’opera prima, era già positivo, forse proprio alla luce di questa sensazione per un’attore omosessuale dichiarato, cosa che gli ha comunque creato qualche problema all’epoca del suo outing, rende tutto il risultato cinematografico vera e propria poesia, un film che inevitabilmente verrà criticato e poi rivalutato nel corso degli anni. Per parte mia la speranza che Rupert  Everett si dedichi in modo costante alla regia sull’esempio di Clint Eastwood lo potrà portare a nuovi traguardi professionali molto soddisfacenti.
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