Agnès Varda, Bon Voyage

29/03/2019 di Redazione

Agnès Varda è morta. Anche scrivendolo e leggendolo sembra impossibile pensare che questa donna, artista straordinaria, possa non essere più su questa terra. Pensare che quegli occhi sempre pieni di vita e curiosità si siano chiusi per l’ultima volta e per sempre.

Agnès Varda era una delle ultime testimoni di un movimento e di un’epoca cinematografica straordinarie. Della Nouvelle Vague è rimasto solo Jean-Luc Godard, anche se poi a entrambi non sono mai piaciute le etichette, men che meno questa.

Ma al contrario di Godard, che guarda ormai da tanto tempo il mondo dall’alto, ripensando continuamente l’essenza stessa della forma cinematografica a sua immagine e somiglianza, Agnès ha preferito camminare tra gli uomini, scoprendo a ogni passo un nuovo angolo di mondo, che magari valeva la pena raccontare.

Il primo film di Agnès Varda è del 1954

Aveva 26 anni, esperienza da fotografa, prende un giovane Philippe Noiret come protagonista e un tal Alain Resnais come montatore. Si intitola La pointe courte, storia di una coppia, moglie e marito, che durante una breve vacanza al mare riesce ad appianare una serie di problemi nella loro relazione. Una storia semplice, raccontata con quella leggerezza, passione, poesia e verità che avrebbe caratterizzato tutta la sua produzione.

E anche la sua vita, che ha passato per oltre trent’anni al fianco di Jacques Demy, altro immenso cineasta, l’autore di Les Paraplouies de Cherbourg, uno di quei film che nelle classifiche dei film più belli della storia del cinema si trova sempre. E senza il quale i Millennials non avrebbero La-La-Land.

Erano una coppia perfettamente assortita Varda e Demy, anche cinematograficamente, si integravano e si sono magnificamente influenzati e aiutati a vicenda. Parlando di film che entrano nelle classifiche, tra questi c’è anche l’opera seconda di Agnès, Cleo dalle 5 alle 7, 90′ minuti di vita in attesa, meravigliosi, un’opera di una modernità sconvolgente per il 1961, come lo fu l’anno prima Ombre di Cassavetes. E il fatto che alcune settimane fa se ne sia andato anche Jonas Mekas, che del New American Cinema fu il teorico, rende ulteriormente dolorosa la perdita di Agnès Varda.

Nonostante l’età e un po’ di acciacchi, Varda negli ultimi anni è stata attivissima nel circuito dei festival, che se la contendevano a suon di premi, per presentare i suoi film e parlare di cinema, soprattutto con i giovani aspiranti cineasti, a cui diceva cose che nessuna scuola potrà mai insegnare. E lo faceva sempre con il sorriso, e una straordinaria allegria e gentilezza.

L’avevo incontrata a Locarno, quando nel 2014 ricevette il Pardo d’onore dalle mani del direttore artistico Carlo Chatrian.

Ma il ricordo più intenso di Agnès Varda e del suo cinema risale al 1985, quando vidi Senza tetto nè legge, con cui vinse il Leone d’oro a Venezia quell’anno. Un film di una potenza straordinaria, manifesto di una generazione senza punti di riferimento, smarrita, costretta a crescere ma senza un futuro. Per un ragazzino di quattordici anni una scarica di pugni nello stomaco, e allo stesso tempo la consapevolezza di essere parte di quella storia, di poter e voler essere Mona, nonostante tutto.

La forza del sapere raccontare una storia è questa. E Agnès Varda ha saputo raccontare storie bellissime, come pochi sono stati capaci.

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