I dati dello smart working in Italia

Dopo un leggero calo post prima fase pandemica, nel 2023 il lavoro è tornato a crescere e, secondo le previsioni, questo trend proseguirà anche nel 2024

21/02/2024 di Enzo Boldi

Durante la pandemia (e le conseguenti restrizioni ai movimenti) era diventato un elemento strutturale del mondo del lavoro nel nostro Paese. Mentre gli altri Stati europei, in particolari quelli nordici, già da anni avevano applicato questo paradigma, da noi la situazione era ben diversa. Figli di una cultura lavorativa differente, con le aziende – in particolare quelle pubbliche – che difficilmente si erano trovate d’accordo con i nuovi modelli di lavoro agile, l’Italia ha incontrato molte difficoltà nell’applicare dei principi che – almeno inizialmente – rispondevano esclusivamente al concetto di “telelavoro”. Il lavoro da casa, però, è solo un aspetto che viaggia di pari passo con la nascita di nuovi spazi di co-working in cui un dipendente (o un libero professionista) può portare avanti la propria attività lavorativa grazie ai nuovi mezzi digitali. Ma come sta andando, oggi, lo smart working in Italia?

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Come detto, durante le fasi più acute della pandemia i numeri si sono impennati. Ma dopo un leggero calo (culturalmente fisiologico) riscontrato negli ultimi due anni, i dati dello smart working in Italia sono tornati a crescere nel corso del 2023 e sono destinati a mantenere questo stesso trend (seppur con una variazione percentuale minima) anche nel 2024.

Smart working in Italia, i dati in crescita (ma non per la PA)

Secondo la più recente ricerca effettuata dall’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, nel 2023 il numero dei lavoratori da remoto sono stati 3,585 milioni. Si tratta di un dato in leggero aumento rispetto a quello registrato nel 2022, quando erano stati registrati 3,570 milioni di smart worker nel nostro Paese. Secondo le previsioni per l’anno corrente, questa cifra sembra essere destinata a un ulteriore (seppur lento) aumento, arrivando a toccare le 3,65 milioni di unità. Un’ascesa lenta, ma inesorabile con nuove forme di lavoro agile (anche se in Italia manca una legge aggiornata) e nuovi strumenti digitali che permettono un lavoro a distanza sempre più coerente con una visione europea e internazionale.

I numeri mostrano, dunque, un aumento lieve. Così come quelle previsionale per il 2024. Guardando indietro, però, la stessa ricerca dell’Osservatorio del Politecnico di Milano mostra una situazione ben differente rispetto alla fase pre-pandemica: tra il 2019 e il 2023, infatti, si è registrato un aumento dei lavoratori in smart working in Italia del 541%. Una percentuale abissale, figlia di una cultura che – evidentemente – in precedenza ha sempre visto il lavoro agile sotto una cattiva luce. Anche in termini di produttività.

In calo nella Pubblica Amministrazione

Andando a suddividere questi numeri per azienda di appartenenza, emerge un dato molto interessante. Rispetto alla rilevazione precedente, è cresciuto il numero di lavoratori da remoto nelle grandi aziende, con circa il 50% della forza lavoro (circa 1,88 milioni di dipendenti) che sfrutta le possibilità dello smart working. In lieve aumento anche il comparto delle Piccole e Medie Imprese (PMI), dove il 10% del totale dei lavoratori (circa 570mila persone) lavora da casa o da altri spazi al di fuori delle mura dell’azienda presso la quale sono assunti. Da sottolineare, infatti, un altro aspetto molto interessante: il 44% di chi svolge lavoro da remoto non lo fa dalla propria abitazione o dal proprio luogo di residenza, ma lo fa da spazi di co-working o da altri luoghi della città in cui vive.

I dati in calo, invece, si registrano nelle cosiddette “microimprese”, dove solamente il 9% della forza lavoro (circa 620mila lavoratori) ha scelto o ha avuto la possibilità di optare per lo smart working. Stesso discorso per quel che riguarda la Pubblica Amministrazione, dove il lavoro agile ha coinvolto il 16% della platea potenziale, pari a circa 515mila dipendenti assunti.

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