Gli influencer “ingaggiati” dai giganti dei combustibili fossili per fare greenwashing

Un'indagine ha messo in evidenza come Shell e BP abbiano investito in campagne social per dare risalto ai loro progetti "green" che, però, sono secondari o messi in secondo piano

28/07/2023 di Enzo Boldi

Gli ultimi eventi che hanno colpito il Nord Italia (tornado, grandinate, tempeste e temporali), il Centro-Sud (caldo asfissiante, con temperature massime di gran lunga sopra la media e – soprattutto – minime elevatissime) e le isole (incendi la cui portata amplificata dal vento di Scirocco), sembrano aver finalmente acceso un dibattito pubblico sul cambiamento climatico. Al netto delle tesi antitetiche di alcuni sostenitori del “ciclo della natura” (ovvero di coloro che sostengono che questi fenomeni non siano collegati all’inquinamento e all’eccessiva produzione di CO2), il tema è diventato di grande attualità anche per molti marchi. Compresi alcuni grandi protagonisti del mercato dei combustibili fossili che hanno ingaggiato alcuni influencer – come nel caso di Shell e BP – per raccontare al mondo dei più giovani i loro progetti “green”. Ma le cose sembrano essere andate diversamente.

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L’influencer marketing è (ormai) l’anima del commercio. Sempre più aziende, infatti, si rivolgono ai creator digitali per la realizzazione di contenuti sponsorizzati da condividere sulle principali piattaforme social. Sembra essere fino il tempo dei cartelloni pubblicitari in giro per le città (sono presenti, ma hanno un peso diverso), così come quello degli spot radiofonici e televisivi. Perché il “Carosello” storico è solo un ricordo del lontano passato e mezzi come tv e radio sono sempre meno utilizzati. Soprattutto dalle nuove generazioni. Per questo motivo, come nel caso di Shell e BP, si è deciso di rivolgersi a chi è più in grado di interfacciarsi con i più giovani su temi che stanno a cuore ai più giovani, come il cambiamento climatico. Peccato che si tratti di campagne di greenwashing per ripulire l’immagine del brand, in questo caso di chi continua a investire più nei combustibili fossili che sulle energie alternative.

Shell e BP, il greenwashing attraverso gli influencer

Come riportato da una recente inchiesta condotta da DeSmog, entrambi i giganti britannici del combustibile fossile hanno stretto accordi commerciali con alcuni famosi influencer (o personaggi noti della televisione) per condurre campagne social di mobilitazione verso il green. Ovviamente in chiave meramente commerciale, magnificando le iniziative di Shell e BP di fronte al problema del cambiamento climatico. Tutto bello, se solo fosse vero. Per esempio, come riporta il portale, le evidenze tra quanto dichiarato nelle campagne di influencer marketing e la realtà sono ben altre.

«Nel 2022, un articolo dell’Università di Harvard ha scoperto che la narrativa di “innovazione verde” era una delle principali tattiche sui social media implementate dalle aziende di combustibili fossili. Analizzando 2.325 post sui social media di 22 principali inquinatori europei, il rapporto ha rilevato che nel 72% dei post delle compagnie petrolifere e del gas si è cercato di enfatizzare la propria spesa per la tecnologia green. Come ha anche sottolineato lo studio, tuttavia, queste aziende hanno investito solo l’1,7% delle loro spese in conto capitale annuali in tecnologie a basse emissioni di carbonio tra il 2010 e il 2018».

Dunque, l’esatto emblema di quel concetto di greenwashing, una strategia utilizzata da molte aziende per far apparire tangibile la propria attività in merito alla riduzione di emissioni, senza però confermare questa tendenza per quel che riguarda il loro lavoro, il core business e gli investimenti protratti nel tempo.

Le evidenze

All’interno dello stesso approfondimento sulle campagne social dei giganti dei combustibili fossili, viene riportato anche il parere di Gregory Trencher, docente presso la Graduate School of Global Environmental Studies dell’Università di Kyoto, in cui si fa riferimento a una notizia ufficiale che risale a poco più di un mese fa e che riguarda – come spiega il The Guardian – proprio la britannica Shell:

«Questi sforzi di messaggistica pubblica fanno parte integrante di una più ampia strategia di greenwashing il cui obiettivo è ritrarre Shell come un campione globale nella transizione energetica. Tuttavia questo è lontano dalla realtà, poiché nonostante abbia un obiettivo in atto per raggiungere zero emissioni nette, Shell ha abbandonato il suo piano per ridurre la sua produzione di petrolio dell’1-2% ogni anno fino al 2030 e ha ribadito i suoi piani per crescere la sua produzione di gas». 

Discorso analogo a quel che accade con BP e molte altre aziende del settore. Dunque, il greenwashing è servito. E qui entrano in ballo gli influencer: chi si presta a stringere accordi con queste società è a conoscenza della realtà? I creator digitali che mettono il proprio nome e la propria faccia su campagne di questo tipo, dovrebbero avere una conoscenza molto più approfondita della vicenda, della storia delle aziende e non credere a tutto ciò che gli viene detto in fase di accordo commerciale. Perché oltre a veicolare un messaggio non vero e veritiero, si rischia di associare la propria figura a qualcosa di (per usare un eufemismo) poco trasparente. Se si è un personaggio pubblico, anche sui social, si hanno delle responsabilità. Che dovrebbero andare oltre i soldi.

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