La guerra del grano all’orizzonte e i produttori 100% italiano che provano a resistere
06/04/2020 di Redazione
Potremmo sintetizzarla così. Mentre sul mercato impazza la guerra di posizione del grano per produrre pasta e farine, i produttori italiani – quelli autosufficienti – mettono in campo la loro personalissima resistenza. Lo fanno da una posizione tutto sommato privilegiata. Quella che sta fuori dai grandi flussi di grano che dall’estero raggiungono il nostro Paese e che vengono normalmente impiegati per la produzione di uno dei beni alimentari “rifugio” di questo periodo: la pasta. I supermercati sono ancora ben riforniti, almeno in Italia. Dagli altri Paesi le richieste stanno aumentando vista la corsa dei consumatori all’acquisto di un prodotto che resiste nel tempo, ha una lunga scadenza e che, quindi, ben si adatta a questo periodo di emergenza.
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Settore grano, i prezzi che corrono verso l’alto
Ma, tra qualche mese, la guerra del grano potrebbe avere come effetto principale proprio quello di far aumentare i prezzi della pasta. Il blocco delle esportazioni dal Kazakistan (tra i primi player del settore) e le limitazioni imposte dalla Russia (altro macro-fornitore di grano sui nostri mercati) hanno causato un’impennata del valore di mercato alla borsa merci del 7% per il grano duro e del 15% per la semola. Oscillazioni tipiche di questa epidemia di coronavirus, in cui l’economia viaggia sull’ottovolante.
Fuori da questo schema, ci sono i produttori indipendenti. Il pastificio Mancini nelle Marche produce annualmente, in media, 15mila quintali di pasta partendo a 20mila quintali di grano di propria produzione, coltivato su una superficie di 800 ettari. L’azienda agricola, che esiste dal 1940, ma che è diventata pastificio d’avanguardia nel 2010 (l’idea era nata tre anni prima), riesce a soddisfare le proprie esigenze senza ricorrere all’aiuto di grani esteri. «Sul grano c’è una situazione particolare – ci spiega Massimo Mancini, il titolare dell’azienda -, potremmo definirla una situazione di tensione. Impossibile fare previsioni per il medio-lungo periodo, anche se al momento noi sappiamo che, dovendo contare soltanto sulle nostre forze, non subiremo le conseguenze di questa altalena sul mercato del grano».
Settore grano, come reagiscono le aziende 100% italiane
Certo, l’emergenza coronavirus sta facendo sentire i suoi effetti da un altro punto di vista. Al momento, la produzione del pastificio è destinata per il 60% alla ristorazione. Con il settore praticamente chiuso, questo rappresenta il grattacapo più evidente in questo momento: «Stiamo provando a rafforzare altre linee e canali, come la vendita online o l’ingresso in circuiti che distribuiscono i prodotti porta a porta, attraverso le consegne a domicilio». Si tratta sempre di soluzioni-tampone, ma al momento non è opportuno fare passi più lungi della gamba.
«La tentazione di lanciarsi nel mercato della grande distribuzione c’è – dice Massimo Mancini -, ma al momento non è opportuno prendere decisioni strutturali in un periodo in cui c’è così tanta incertezza. Certo, noi saremmo avvantaggiati: il nostro prezzo resta identico a prima, mentre i competitors più grandi, che devono importare grano dall’estero, potrebbero aumentare i prezzi. Il prezzo del grano è influenzato sia dalle forniture straniere che normalmente coprono il 40% del fabbisogno, sia dalle produzioni italiane. Quello che ci aspettiamo quando usciremo da questo momento, in realtà, è una nuova consapevolezza».
Aziende come il pastificio Mancini non hanno problemi sulla manodopera – quelli che proprio oggi, per intenderci, ha sollevato il ministro dell’Agricoltura Teresa Bellanova – e hanno anche una dose di riserve che permetterà loro di superare questi mesi di incertezza. Elementi fondamentali di un percorso virtuoso che attende un riconoscimento da istituzioni e consumatori: «Dopo questo periodo il mondo cambierà inevitabilmente. Una delle cose che ci auguriamo è che si possano distinguere i prodotti in base alla qualità del valore. E non soltanto del prezzo».
FOTO: pastificio Mancini, immagine da Facebook