Perché a Google viene contestata la “self-preferencing”

Una vicenda simile era già avvenuta diversi anni fa e aveva portato a una sanzione da 2,4 miliardi di euro contro l'azienda

26/03/2024 di Enzo Boldi

Una pratica che, nel recente passato, era stata già oggetto di un’indagine decennale conclusasi con la conferma (dopo il ricorso respinto) di una sanzione da 2,4 miliardi di dollari. Una serie di misure prese da Alphabet – la società che controlla Google e tutti i suoi prodotti/servizi – per adeguarsi al Digital Markets Act che, però, potrebbero non essere sufficienti. Per questo motivo la Commissione UE ha deciso di inserire all’interno del pacchetto di procedure di investigazione avviato nei confronti di molti gatekeeper anche il capitolo dedicato alla cosiddetta “self-preferencing” del motore di ricerca più utilizzato nel Vecchio Continente (e non solo).

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Di cosa stiamo parlando? Proviamo a dare una definizione semplice di questa pratica. La self-preferencing è un fenomeno che si verifica quando un sistema (in ambito digitale possiamo tranquillamente parlare di un algoritmo) sia stato strutturato con l’obiettivo di favorire  se stesso o tutti (anche solo parte) dei suoi prodotti e servizi rispetto a quelli della concorrenza. E lo fa in modo poco o per nulla trasparente e neutrale. Nello specifico dell’indagine avviata dalla Commissione UE, dunque, se Google fornisce tra i primi risultati di una ricerca online i propri prodotti o servizi, sta attuando questa pratica danneggiando la concorrenza e abusando della propria posizione dominante.

Self-preferencing, la pratica di Google nel mirino della UE

Questo è, dunque, il fulcro dell’approfondimento avviato e annunciato lunedì 25 marzo dalla Commissione Europea, per verificare se la holding che controlla Google abbia adottato misure conformi al Digital Markets Act:

«La Commissione ha avviato un procedimento contro Alphabet, per determinare se la visualizzazione da parte di Alphabet dei risultati di ricerca di Google possa portare ad auto-preferenze in relazione ai servizi di ricerca verticale di Google (ad esempio, Google Shopping; Google Voli; Google Hotels) rispetto a servizi concorrenti simili.
La Commissione teme che le misure di Alphabet attuate per conformarsi alla DMA possano non garantire che i servizi di terzi presenti nella pagina dei risultati di ricerca di Google siano trattati in modo equo e non discriminatorio rispetto ai servizi di Alphabet, come richiesto dall’articolo 6( 5) del DMA». 

Si fa riferimento, dunque, a un passaggio specifico del Digital Markets Act. A quel paragrafo 5 dell’articolo 6 che va a occuparsi proprio del tema della “self-preferencing” e delle soluzioni che i gatekeeper devono necessariamente attuare per non abusare della propria posizione dominante sul mercato:

«Il gatekeeper non garantisce un trattamento più favorevole, in termini di posizionamento e relativi indicizzazione e crawling, ai servizi e prodotti offerti dal gatekeeper stesso rispetto a servizi o prodotti analoghi di terzi. Il gatekeeper applica condizioni trasparenti, eque e non discriminatorie a tale posizionamento». 

Dunque, qualora fosse accertata una soluzione – da parte di Alphabet – non adatta a limitare questa pratica (in termini di verticalità), la holding che controlla Google rischia di incappare in una pesante sanzione.

Il precedente

Una vicenda non nuova sul suolo europeo. Qualche anno fa, infatti, la Commissione Europea aveva avviato un’indagine nei confronti di Google, contestando proprio la scarsa trasparenza e la non neutralità nella pratica della self-preferencing attraverso il proprio motore di ricerca. All’epoca dei fatti – con una caso durato una decina di anni -, il focus specifico era rivolto al servizio Google Shopping. Insomma, parliamo sempre di verticalità nell’ecosistema dei servizi di Google. Per questo motivo, venne comminata una multa da 2,4 miliardi di euro nei confronti dell’azienda di Mountain View che, però, tentò la via del ricorso. Fallendo.

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