No, Salvini, la Consulta non è una «sacca di resistenza del vecchio sistema»: difende la Costituzione
17/01/2020 di Gianmichele Laino
Matteo Salvini ha un nuovo obiettivo. I giudici della Corte Costituzionale. Ovvero, le 15 persone che difendono la nostra carta costituzionale. Secondo il leader della Lega, dopo la bocciatura del referendum della Lega che presentava degli elementi che manipolavano la Costituzione, la Consulta non è altro che «una sacca di resistenza del vecchio sistema».
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Sacca di resistenza, la nuova definizione della Consulta da parte di Salvini
«La Consulta è una delle ultime sacche di resistenza del vecchio sistema – ha detto Salvini nel corso di un evento elettorale a Catanzaro, in Calabria, dove il 26 gennaio prossimo sono in calendario le elezioni regionali – e dice che di legge elettorale, di Parlamento e di governo, si possono occupare solo i partiti, non gli italiani, che non devono occuparsene. È una scelta contro la democrazia. Poi, si andrà a votare, perché questi litigano su tutto ogni giorno, quindi non durano».
Lasciamo perdere le considerazioni sui litigi interni al governo (che erano ben presenti anche quando era la Lega a stare nell’esecutivo con il Movimento 5 Stelle). Ma definire in questo modo la Corte Costituzionale ha qualcosa di sovversivo. Infatti, la Consulta è un organo di garanzia, il baluardo che i padri costituenti hanno voluto erigere a difesa della carta fondamentale. Tutelandola anche da interventi improvvidi del legislatore.
Sacca di resistenza per aver impedito una cosa che non si poteva fare?
In questo caso, la Consulta non ha fermato la volontà popolare. Ma semplicemente la richiesta di modificare la legge elettorale in maniera irrituale, presentata dalla Lega con l’appoggio di otto consigli regionali (a guida Lega e centro-destra). La narrazione di Matteo Salvini, tutta votata al populismo, sembra davvero fatta per distrarre dal vero punto. La modifica della legge elettorale non poteva essere fatta attraverso gli stralci di una legge preesistente che non avrebbe reso il provvedimento immediatamente applicabile. I collegi elettorali sarebbero infatti stati ridisegnati (e per questo ci sarebbe stato bisogno di una legge ad hoc, che la Lega avrebbe voluto aggirare con una sorta di delega contenuta all’interno di un quesito referendario) e la legge elettorale venuta fuori dal referendum non avrebbe avuto effetto.
Sembra sorprendente, tuttavia, che un ex ministro possa definire in questo modo un organo di garanzia costituzionale. Ma, evidentemente, c’è ancora l’eco della richiesta dei pieni poteri. La Corte Costituzionale non ha agito seguendo le indicazioni di un partito: ha come propria stella polare la carta fondamentale, che vuole difendere da errori del legislatore.
Non è un crimine, non è un danno difendere la Costituzione.