Il problema del ritardo sulla banda larga in Italia

Il crono-programma, deciso dal governo nel 2015, non è stato rispettato. E si rischia di andare anche oltre le "scadenze" posticipate con deroghe

05/06/2023 di Enzo Boldi

Si fa presto a dire “digitalizzazione dell’Italia“. Si fa presto a fare annunci sugli obiettivi da raggiungere per rendere il nostro Paese più “moderno”, consentendo a tutti i cittadini di poter accedere ai più banali servizi legati anche alla Pubblica Amministrazione con un solo click dal proprio dispositivo. Si fa presto a celebrare piccoli traguardi che, guardando al recente passato e al crono-programma stilato meno di un decennio fa, in realtà sono effimeri. Perché oggi – mentre si parla di cloud, di Scuola 4.0, di fascicolo sanitario elettronico e altro – l’unica cosa importante è un’analisi dei ritardi nel piano banda ultralarga che doveva connettere tutta l’Italia già diversi anni fa. Ma, ovviamente, le cose sono andate e stanno andando in modo diverso.

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L’Italia doveva essere connessa ad altissima velocità entro il 2020, ma oggi – anno 2023 – la situazione della connettività nel nostro Paese è ancora in alto mare. Tutto è partito nel 2015, quando il governo – all’epoca guidato da Matteo Renzi – aveva dato il via libera al cosiddetto “Piano BUL” (Piano Banda Ultralarga). L’obiettivo era, ovviamente, in linea con la strategia di digitalizzazione dello Stivale, da Nord a Sud. Con particolare attenzione ai centri urbani (non solo città metropolitane) e zone rurali. Le procedure, avviate con diversi bandi di Infratel – società in house del Mimit (Ministero delle Imprese e del Made in Italy, ovvero l’ex Ministero dello Sviluppo Economico) -, sono partite con ritardo per via di alcuni ricorsi al TAR e al Consiglio di Stato in seguito alle contestazioni delle “aziende” che avevano partecipato senza vincere. I pronunciamenti dei giudici, però, confermarono (nel corso degli anni) la legittima aggiudicazione a Open Fiber, all’epoca dei fatti partecipata di Cassa Depositi e Prestiti e da Enel, in parti uguali.

Ritardi piano banda ultralarga in Italia, cronologia dei fatti

In un nostro precedente approfondimento, abbiamo mostrato l’evidenza dei fatti. Non basandoci su supposizioni, ma prendendo come riferimento i dati dell’ultima relazione (datata 30 aprile 2023) di Infratel. Si tratta di quella società pubblica che, oltre a pubblicare i bandi, si occupa anche del monitoraggio dei lavori – che devono essere realizzati da Open Fiber dopo l’aggiudicazione delle gare d’appalto – su tutto il territorio nostrano. E proprio da quell’ultimo report, sono saltati agli occhi i ritardi piano banda ultralarga nel nostro Paese.

Regione per Regione, Comune per Comune. Al 30 aprile del 2023, quei lavori che dovevano concludersi già nel 2020 (poi si è deciso di dare maggior ossigeno, inserendo la “data di scadenza” entro la fine di quest’anno) sono fermi al 47% del totale, inserendo in questa percentuale anche situazioni in cui manca solamente il collaudo. Dunque, i ritardi piano banda ultralarga sono evidenti e non si riuscirà ad arrivare a dama entro la nuova data di scadenza.

Il crono-programma non rispettato

Stando a quanto dichiarato dal governo Renzi, nel 2015, nel suo documento in cui si annunciava l’avvio del cosiddetto “Piano BUL”, tutto è andato e sta andando a rilento. Perché gli obiettivi erano stati suddivisi in tre zone, ovvero territorio in cui il livello di connettività era differente:

  • Aree bianche: zone senza alcuna connettività, dove gli operatori privati non hanno interesse ad investire. In queste aree l’intervento era ed è di natura pubblica.
  • Aree grigie: zone servite solo parzialmente, dove gli operatori privati necessitano di un co-finanziamento pubblico per sviluppare le reti.
  • Aree nere: zone che sono già servite dagli operatori privati che non necessitano di finanziamenti pubblici.

Questo dal punto di vista dell’intervento pubblico a sostegno dello sviluppo della rete di banda ultralarga. Il tutto suddiviso in tre maxi-step di realizzione.

  • Fase 1 (2014-2016): L’obiettivo era di coprire il 100% delle aree economiche e industriali e il 50% delle aree urbane con connessioni a banda larga di almeno 100 Mbps.
  • Fase 2 (2016-2018): L’obiettivo era di estendere la copertura con connessioni a banda larga di almeno 30 Mbps al 100% delle aree urbane e al 50% delle aree rurali.
  • Fase 3 (2019-2022): L’obiettivo era di coprire il 100% delle aree rurali con connessioni a banda larga di almeno 30 Mbps e il 85% delle aree urbane con connessioni a banda larga di almeno 100 Mbps.

Il tutto è confermato all’interno di una tabella allegata al documenti di avvio del Piano BUL redatto dal governo italiano nel 2015.

Obiettivo mancato. A tutto ciò si deve aggiungere il ritardo nella realizzazione di un altro piano – relativo alla connettività della Scuola e dei servizi della Pubblica Amministrazione -, ovvero quello di raggiungere una velocità di connessione pari a 1 gigabit al secondo.

Le penali

Dunque, il crono-programma non è stato rispettato. Anche dopo le deroghe arrivate nel corso degli anni. E oltre alle scadenze (posticipate) non ancora raggiunte, c’è grande preoccupazione per altri possibili (e probabili) mancati obiettivi legati alla digitalizzazione del nostro Paese. E se OpenFiber ha provato a spiegare che la relazione di Infratel utilizzi dei parametri differenti rispetto al suo monitoraggio sull’andamento dei lavori, sta di fatto che le penali – inserite nei bandi pubblici – già contestato all’aziende confermino questi ritardi.

Sanzione per non aver rispettato il crono-programma per le attività di progettazione per quel che riguarda la gara 1 e 2; sanzione per i ritardi nella fase di collaudo. Sanzione per il ritardo nella consegna e nelle nuove versioni dei progetti inizialmente non approvati; ritardo nell’adeguamento – in fase di progettazione definitiva – dei progetti contestati. Dunque, penali per circa 50 milioni di euro.

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